Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba della caccia e della pesca
SCENA DI CACCIA E PESCA CON TUFFATORE (520/510 a.C.)
Decorazione parietale

La tomba della caccia e della pesca è costituita da due camere, la prima a pianta rettangolare, la seconda a pianta quadrata, disposte sullo stesso asse del dromos scalinato d’accesso (oggi scomparso); entrambe le camere sono coperte da un soffitto a doppio spiovente. Nel frontone della parete di fondo della prima camera sono raffigurati due cavalieri, con servi al seguito, di ritorno da una battuta di caccia; sotto al frontone e nelle pareti laterali si dispiega un boschetto di allori in cui si svolge un komos, un rituale che contemplava una danza orgiastica, fra bende e corone appese ai rami degli aromatici arbusti, tipici della macchia mediterranea. Nel frontone della parete di fondo della seconda camera sono raffigurati i proprietari della tomba distesi sul kline intenti a banchettare attorniati da servitori e musici. Su tutte e quattro le pareti si svolge un affresco continuo con scene di caccia e pesca, da cui il nome della tomba. Più in particolare sulla parete sinistra si fa notare la figura di un giovane tuffatore ignudo che rimanda metaforicamente al passaggio dell’anima nell’aldilà, o anche, ma è una mia ipotesi personale, il raggiungimento di Agharti, i cui accessi si trovavano sotto le acque dei laghi. Un’immagine molto simile la ritroviamo in un’altra tomba, più tarda, del 480 a.C., rinvenuta a Paestum detta appunto “tomba del Tuffatore”, opera di un maestro della Magna Grecia (vedi Arte greca periodo classico).
Questi affreschi non saranno certo paragonabili a quelli coevi della madre patria greca, tuttavia sono sicuramente dotati di una vivacità abbastanza inusuale per l’epoca.
La tomba tarquiniese risale al 520 a.C. circa. Le figure sebbene realizzate in modo approssimativo e convenzionale sono tuttavia fresche e accattivanti. Colpisce la naturalezza dei movimenti, la libertà espressiva esente da regole e schemi strutturali precostituiti, nonché l’ariosità della composizione, la quale non è priva di una certa armonia. I colori sono brillanti e contrastati: sul fondo bianco spiccano il rosso e l’azzurro degli uccelli in volo, dell’incarnato e delle vesti di alcuni personaggi; pure rossa e azzurra con eleganti disegni a prua è la barca che porta i pescatori; bruno è invece il mare: ma il colore insolito è dovuto ad un’alterazione della tinta. È molto probabile che nel caso della tomba in questione ci troviamo di fronte ad un autore greco in rapporto con la cultura insulare di Samo, nota soprattutto per la produzione di coppe particolari dette dei “piccoli maestri ionici”.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba delle leonesse,
GRANDE CRATERE CON SUONATORI E DANZATORI – PERSONAGGIO SDRAIATO (intorno al 520 a.C.)
Decorazione parietale

Con gli affreschi della tomba delle leonesse siamo all’incirca nello stesso periodo degli affreschi della tomba della caccia e della pesca, intorno al 520 a.C. La camera sepolcrale prende il nome dalle due belve (due leonesse maculate? Più probabilmente due pantere.) raffigurate nel timpano della parete di fondo. Le fiere sono poste l’una di fronte all’altra, separate dal mensolone d’appoggio del columen. Il sepolcro è costituito da un’unica camera a pianta rettangolare, coperta da un soffitto a doppio spiovente. Le pareti e il soffitto sono ricoperti di pitture. Quelle del soffitto ricamano una scacchiera bianco rossa, simbolo della trama di elementi opposti che danno origine alla vita; quelle delle pareti sono disposte su due ordini separati da un fregio orizzontalmente e da colonne tuscaniche verticalmente; le pitture del soffitto si innestano su quelle delle pareti senza fasce colorate separatorie. Sull’ordine inferiore vi è raffigurato il mare; sopra le onde saltano delfini mentre nel cielo volano uccelli marini; sull’ordine superiore sono raffigurate scene di vita conviviale. Sul muro di fronte all’ingresso, al centro, campeggia un enorme cratere ornato da una ghirlanda verde; affianco ci sono due musici, uno con la cithara (cetra) e l’altro con l’aulos (flauto a doppia canna); sopra c’è il mensolone d’appoggio del columen, sotto c’è una nicchia che verosimilmente avrebbe dovuto ospitare l’urna con le ceneri del defunto. All’estremità destra ci sono due danzatori impegnati nel tripudium, una danza a tre passi; un giovane, biondo, dalla carnagione scura e una giovane corvina, dalla carnagione chiara. Il primo tiene in una mano un olpe, la seconda fa il gesto delle corna: un gesto non già di oltraggio ma di buon augurio. All’estremità sinistra è raffigurata una sacerdotessa (lo si capisce dal tutulus, il cappello indossato dalle religiose) còlta mentre impronta una danza rituale con i calcei repandi ai piedi. Sui muri di lato ci sono quattro personaggi adagiati sui klinai; due ricoperti da un manto verde, due da un manto azzurro; l’ultimo a destra con la mano sinistra tiene un kilix e con la destra un uovo. L’uovo è un simbolo che ritroviamo spesso nelle raffigurazioni rituali antiche; simboleggia l’origine cosmica o la perpetuazione della vita.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba degli auguri
SCENA DI LOTTA E GIOCHI – AUGURI (530 a.C. c.)
Decorazione parietale

Una delle tombe del periodo tardo arcaico meglio conservate è quella degli auguri. Il soggetto principale della decorazione pittorica sono i giochi svolti in onore del defunto. Sulle pareti campeggia un ampio fregio che si dispiega in due ali parallele a partire da una porta chiusa collocata al centro del muro di fondo. Questa porta dovrebbe essere il mundus, ma potrebbe anche simboleggiare la cella funebre, ovvero il luogo di permanenza del defunto. Ai lati, rivolti verso l’uscio, ci sono due personaggi vestiti con una lunga tunica bianca, coperti da un mantello nero, colti in atteggiamenti rituali; ai piedi calzano degli eleganti calcei repandi. Si tratta, stando all’iscrizione, di due apastanasar, ovvero due addetti alle cerimonie funebri. Sull’ala destra, al centro, spiccano due lottatori ignudi, ai cui piedi giacciono tre grandi bacili: il premio per il vincitore. Dei due contendenti si conosce anche il nome: uno si chiama Teitu e l’altro Latithe. Questi due nomi ne rivelano la loro condizione sociale: si tratta di due schiavi. Alla sinistra dei lottatori ci sono due personaggi di cui uno in tunica purpurea rivolto verso due servi, forse un arbitro con due assistenti, l’altro vestito con abiti sacerdotali, bianchi e neri, che tiene ben serrato nella mano destra il lituus, il bastone ricurvo cerimoniale degli auguri. Forse qui, in questa rappresentazione l’augure è in veste di impresario dei giochi: a tale conclusione si è giunti considerando la scritta con la denominazione Tevarath. Alla destra è còlto in pieno svolgimento un gioco molto crudele che consiste in una sorta di incitazione allo sbranamento. Ci sono due contendenti, uno è armato di un cane, il phersu, l’altro di una clava. Il phersu deve cercare di avere ragione dell’uomo con la clava e per ottenere ciò gli aizza contro il cane; l’uomo con la clava deve cercare di non farsi sbranare dal cane difendendosi a suon di clavate. Come se non fosse abbastanza crudele, il gioco si fa ancora più disumano aggiungendo il particolare che l’uomo con la clava non può vedere il cane, poiché incappucciato. La scena qui riportata coglie la fase in cui il cane incitato dal phersu sta mordendo una gamba all’uomo incappucciato, il quale nel tentativo di liberarsi dalle mascelle della bestia si impiccia con il lunghissimo guinzaglio col quale il phersu la controlla: è senz’altro la nota meno convenzionale di tutta la decorazione. Nell’ala sinistra sono altre figure di contendenti con la ripetizione del phersu all’estremo bordo destro della parete, còlto mentre sta danzando oppure tentando di fuggire, forse dall’uomo incappucciato o dal suo cane. Sulla controparete d’ingresso s’intravedono (sono molto rovinati) altri giocolieri; nei timpani si riconoscono due felini in posizione araldica sul lato vano d’accesso; sul lato opposto un leone ed una pantera sbranano un capro. Nota da rilevare: i timpani mancano del mensolone d’appoggio del columen, particolare che insieme alla mancanza di colonne da al tutto un aspetto anti architettonico.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba del barone
SCENA DI COMMIATO (500 a.C. c.)
Decorazione parietale

La tomba del Barone si chiama così in onore del barone Kestner (1777-1853) che la scoprì insieme al connazionale Stackelberg (1786-1837) nel 1827. È una tomba del periodo di passaggio fra l’arcaismo e la fase severa. Le sue dimensioni sono modeste, circa mt. 2,38x4x5, ma le pitture che racchiude sono di altissimo livello. La camera sepolcrale è decorata solo da un fregio continuo che decorre lungo tre delle quattro pareti interne. È contenuto fra due fasce che corrono parallele, costituite da due tenie nella porzione inferiore e otto nella porzione superiore. Nei due timpani, ai lati di due poderosissimi podi d’appoggio del columen dipinto, si trovano ippocampi (cavalli marini) e delfini, su quello di fondo, due felini più altre figure cancellatesi, su quello d’ingresso. Nel fregio che corre sulla parete opposta a quella d’ingresso ci sono raffigurati, al centro un gruppo di tre personaggi, un uomo barbuto che alza un kilix come per brindare di fronte ad una donna ammantata col capo coperto da un tutulus; l’uomo stringe a sé un auleta, un giovinetto, un efebo suonatore di aulos, il doppio flauto. L’uomo e l’auleta sono divisi dalla donna ammantata da un esile alberello, probabilmente di alloro. A destra e a sinistra del gruppo centrale, separati da altri alberi di alloro, ci sono, orientati in senso uno opposto all’altro, due giovani cavalieri, uno rosso su un cavallo nero e l’altro nero su un cavallo rosso. Sulla parete sinistra e destra si ripete il motivo dei giovani con i cavalli. Su quella di sinistra i due giovani tengono i cavalli per le briglie e sono rivolti verso una donna ammantata posta al centro; su quella destra i due giovani sono a cavallo l’uno di fronte all’altro come se stessero colloquiando. Sulla controparete d’ingresso ci si limita alla sola presenza degli alberelli di alloro.
Anche in questo caso come in altri il significato delle scene non è stato del tutto chiarito e l’interpretazione non è univoca. Quella più verosimile è che si tratterebbe di tre scene di commiato: nel gruppo centrale è raffigurato il commiato del padre (l’uomo barbuto) dalla moglie e dai figli; nella parete di sinistra è il commiato dei figli dalla madre; nella parete di destra di un fratello dall’altro. Non mi sorprenderebbe se la composizione rappresentasse tutt’altro, come ad esempio un rito funerario. In tal caso la figura della donna sta ad indicare una sacerdotessa che col gesto di alzare le mani sta operando in direzione di una magica unione fra il terreno e il celeste. Il terreno, la terra madre è l’erogatrice delle energie telluriche; il celeste, il cielo è il dispensatore delle energie cosmiche, entrambe necessarie alla sopravvivenza dell’anima del defunto.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba dei tori
AGGUATO DI ACHILLE A TROILO – SCENA DAL FREGIO (540 a.C. c.)
Decorazione parietale

La tomba dei tori anticipa di un decennio le tombe arcaiche fin qui esaminate. Essa si distingue da tutte le altre sepolture poiché è la sola fra quelle trovate finora che tratta di un soggetto mitologico: l’agguato di Achille a Troilo. Altro motivo di distinzione è la sua articolazione in tre vani: una camera su cui si affacciano due celle, separate e affiancate. La decorazione si stende sull’intera parete fra le due porte d’accesso alle celle per proseguire senza figure sui due lati e concludersi nella controparete d’ingresso. Al centro della parete dove si affacciano le celle c’è l’agguato; nella restante parete, ai bordi ci sono due esili alberelli. Sul fregio che corre sopra la coppia di porte ci sono raffigurati due tori: in riposo quello a sinistra e all’attacco quello col volto umano a destra; più due gruppi erotici. Nel timpano, divisi dalla solita base d’appoggio del columen c’è un leone alato seguito da una sfinge a sinistra e un cavaliere seguito da un torello a destra. Il toro col volto umano reca il nome del proprietario della tomba: certo Aranth Spurianas. Sul significato del fregio ci si interroga ancora oggi: non si sa bene se voglia alludere alla fecondità o a qualcos’altro. Sull’agguato invece dubbi non ce ne sono: riporta il celebre episodio omerico dell’agguato di Achille a Troilo.
Troilo era l’ultimo figlio di Priamo. Per via del suo bell’aspetto adolescenziale veniva considerato figlio di Apollo. Sul suo conto gravava il responso di un oracolo il quale aveva predetto che Troia non sarebbe mai caduta se al giovinetto gli fosse concesso di raggiungere i 20 anni. In seguito a tale profezia Atena sollecitò il suo prediletto Achille ad ucciderlo al più presto. E questi non perse certo tempo e gli tese un agguato. Si acquattò dietro la fontana di Timbra, fuori le porte Scee, dove il giovinetto era solito portare ad abbeverare i suoi cavalli, e li si mise in attesa. Un giorno Troilo (o una sera) usci dalla città assediata per recarsi alla fonte per far dissetare il suo destriero e una volta nei pressi fu assalito da Achille. Troilo impaurito cercò di fuggire, ma Achille “piè veloce” lo inseguì, lo raggiunse e impietosamente lo assassinò. Questo il racconto in breve. Ma dell’episodio ci sono diverse versioni, di cui una in particolare ci specifica di come Troilo per sfuggire ad Achille, che tra l’altro se ne era fortemente invaghito, tentò di rifugiarsi nel tempio di Apollo Timbreo. Ma Achille neanche per rispetto agli dèi contenne la sua furia possessiva e tentò di violentare il giovin efebo infino nel tempio. Troilo si ribellò e per tale affronto l’eroe acheo lo ammazzò. Ad Apollo la sfrontatezza di Achille non piacque affatto e per vendicarsi del suo comportamento sacrilego guidò la mano di Paride affinché centrasse con un sol colpo il punto vulnerabile del prode elleno.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba dell’orco
AITA (Ade) E PHERSIPNAI (Persephone) – TESEO E TUCHULCHA – TIRESIAE (prima metà IV sec. a.C.)
Decorazione parietale

La tomba dell’orco è in realtà una tomba doppia, cioè composta da due camere sepolcrali distinte col termine orco I e orco II, in origine separate, con accesso proprio, e in seguito unite da un corridoio di collegamento. Il suo nome potrebbe derivare dalla deformazione della parola urcla, che vorrebbe dire aldilà, di conseguenza se l’interpretazione è giusta la tomba dovrebbe suonare come tomba dell’aldilà. La tomba è detta anche dei Murina dal nome della famiglia, una diramazione della potente famiglia dei Spurinna. L’orco I è la più antica e la peggio conservata. Sulle pareti si leggono a malapena i residui di un affresco raffigurante un grandioso banchetto. La nota saliente di questa stanza sepolcrale è costituita dal profilo residuale di una giovane convitata, nota come la “fanciulla Velcha”, ma che in realtà trattasi di Velia Spurinas, moglie di Arnth Velcha. La seconda stanza, più recente, è invece ricca di brani pittorici ancora in discreto stato di conservazione. È qui che troviamo la più eloquente immagine dell’oltretomba etrusco nella versione rivisitata del periodo postumo classico.
Il perno dell’intera composizione è costituito dalle due figure di Aita (Ade) e Phersipnai (Persephone), il re e la regina degli inferi. Entrambi sono di profilo; Phersipnai ha due serpenti fra i capelli, Ade veste una pelliccia di lupo. Alla sinistra della coppia infernale c’è Gerione, un gigante con tre teste, discendente dei Titani Atlante e Oceano, custode delle mandrie d’oro di Tartesso, città atlantidea che sorgeva nei pressi del “Giardino delle Esperidi”. Eracle lo fece a pezzi per impadronirsi della mandria. Un altro brano ci presenta Teseo intento a giocare a scacchi (?) con un giovane anonimo alla presenza di Tuchulcha. Questa della tomba dell’orco è forse l’immagine più eloquente in cui si vede uno dei demoni più noti dell’escatologia etrusca. Tuchulcha è un essere infernale dall’aspetto terrificante. La testa è incorniciata da una folta capigliatura arruffata dalla quale si ergono dei serpenti fra due orecchie d’asino; la faccia ha le fattezze allarmanti di un rapace dal poderoso becco uncinato; il corpo è quello di un uomo, ma le gambe finiscono con dei robusti artigli; alle spalle s’innestano due grandi ali strigilate. Il suo atteggiamento non è per niente rasserenante, anche per via dei serpenti attorcigliati alle braccia che brandisce come spade in direzione dei giocatori. In un ulteriore frammento appare Aiace, uno degli eroi della guerra troiana, dalla folta barba e dai riccioluti capelli grigi a fianco di Tiresia, l’indovino dei prodi guerrieri omerici. Separa i due personaggi un alberello spoglio ai cui rami si aggrappano delle sagomette umane volanti che ricordano vagamente degli insetti stecco. Da ultimo non si può dimenticare di menzionare la splendida esposizione di coppe dorate che fanno bella mostra di sé su un tavolo, al cospetto di un giovine, alle cui spalle si erge inquietante la figura torva di un altro demone alato; né si può tralasciare l’incredibile figura di Polifemo con la trave conficcato nel suo unico occhio.
Fatta la descrizione veniamo ai significati. L’intera composizione vuole essere una prefigurazione dell’aldilà, ma il contenuto che unisce tutte le scene ancora sfugge. Ciò che è possibile conoscere sono i vari rimandi simbolici. I signori degli inferi seduti sul loro trono sono rivolti verso Gerione, come se stessero parlando con lui; Aita in particolare ha un braccio proteso nella sua direzione e l’altro alzato con un serpente stretto nella mano. Gerione sembra molto attento a quello che hanno da dirgli Aita e Phersipnai. Una posa analoga a quella di Aita la ritroviamo in Tuchulcha, il quale sollevando il braccio col serpente sembra voler ribadire a Teseo e al suo collega il concetto che il potere degli inferi è in lui. Data l’analogia c’è da credere che anche nel gesto di Aita ci sia la stessa intenzionalità affermativa nei riguardi di Gerione. Ricordo a tal proposito che i serpenti nell’antichità erano considerati creature legate alla terra, nel cui ventre è collocato il mondo infero. Per quanto riguarda il gruppo di Tiresia e Aiace sembra molto verosimile che ci si trovi di fronte ad un rito oracolare, in cui l’indovino chiama a sé le anime dei defunti per il recapito di un messaggio.
Comunque, al di là dei significati, una cosa è certa. La presenza di figure mitiche come divinità ed eroi, persone comuni, anime e demoni può voler dire una cosa sola: che il mondo etrusco è un mondo fatto di più dimensioni e che tutte queste dimensioni s’intrecciano fra loro nella realtà.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba della fustigazione
SCENA DI FUSTIGAZIONE (490 a.C.)
Decorazione parietale

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba Bartoccini
INTERNO DIPINTO (530/520 a.C.)
Decorazione parietale

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba dei baccanti
SCENE DI DANZA ORGIASTICA (510/500 a.C.)
Decorazione parietale

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba dei leopardi
SCENA DI BANCHETTO (470 a.C. c.)
Decorazione parietale

Due tombe assai interessanti sono quella dei caronti e la 5636, entrambe di epoca ellenistica. Sullo stradello che conduce alle due camere ipogee si incontrano altre tombe non meno apprezzabili: la tomba dei leopardi e a seguire quella dei baccanti, di Bartoccini e la tomba della fustigazione.
In queste celle sepolcrali ritroviamo i motivi decorativi prevalenti dei periodi arcaico e severo (fine VI secolo/inizi V). Nella tomba della fustigazione, risalente al tardo arcaico/primo severo, ai lati del mundus si svolgono le solite due ali con musici, danzatori e vasi per il vino; unica nota personale la scena effigiata sulla parete destra in cui due uomini sono impegnati a fustigare una donna; di qui il nome della tomba. Diversa, almeno nella struttura, è la tomba Bartoccini, la più complessa tomba di epoca arcaica rinvenuta fino ad oggi. È formata da tre camere quadrangolari disposte con l’asse perpendicolarmente a tre lati di un atrio anch’esso quadrangolare. I dipinti delle pareti sono appena percettibili e rappresentano l’usuale banchetto di rito in onore dei defunti, titolari della tomba. La tomba dei baccanti è sulla stessa lunghezza d’onda delle altre con la rappresentazione di una danza orgiastica nel bel mezzo di un boschetto, probabilmente di alloro. La tomba dei leopardi, chiamata così per via dei due leopardi affrescati nel triangolo frontonale, presenta un vasto fregio che raffigura il consueto banchetto funebre. La fattura è spigliata e vivace, ma le figure sono sproporzionate, alquanto rigide e trascurate nei particolari. Queste osservazioni inducono ad attribuire l’opera a maestranze locali dalla preparazione approssimativa.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba dei Caronti
MUNDUS CON CHARUN DI GUARDIA (150/125 a.C.)

La tomba dei Caronti è una tomba a due livelli: in quello inferiore sono ricavate due camere funerarie a base rettangolare, disposte ortogonalmente tra loro, mentre quello superiore funge da vestibolo; si raggiunge tramite un dromos gradinato incurvato rispetto all’entrata. Il piano inferiore era destinato alle salme e vi si accede tramite due scale scavate nella roccia; il vestibolo era destinato alle cerimonie cultuali. La tomba riveste una certa importanza per via della decorazione della parte superiore. In essa infatti troviamo raffigurati su due pareti adiacenti due porte a doghe borchiate, incorniciate da un telaio con la mostra orizzontale dalla tipica forma detta a “becco di civetta” distintiva del mundus, la porta dell’aldilà. Fanno la guardia ai mundus posti sulle pareti una coppia (?) di Charun, demoni custodi dell’Ade, equivalenti al Caronte greco, traghettatore delle anime, tradizionalmente effigiato come un vecchio alato dal naso adunco, orecchie ferine, capelli arruffati e armato di una mazza.

Tarquinia, necropoli di Monterozzi
Località Calvario, tomba 5636 (ora tomba dei due tetti)
SCENA DELL’ALDILÀ (seconda metà III sec. a.C.)

Molto interessante è anche la tomba 5636 (ribattezzata “tomba dei due tetti”), della seconda metà del III secolo a.C., appartenente alla famiglia Anthunas. Motivo d’interesse di questa tomba non è tanto la struttura architettonica, si tratta di una camera a forma di parallelepipedo, quanto la decorazione pittorica, anche se limitata a due sole zone. Sul pilastro centrale appoggiato alla parete di fondo si staglia la figura demoniaca di Charun, mentre sulla parete destra, a ridosso del muro d’ingresso, su una fossa scavata nella roccia, è raffigurata una scena molto particolare. Si vede in maniera assai chiara un defunto che si dirige verso il mundus; ad accompagnarlo c’è Vanth, la demone della morte, munita di fiaccola per illuminare le tenebre in cui è avvolto il cammino verso l’aldilà. Ad accogliere il defunto ci sono i parenti deceduti, fra cui anche un bambino; alle loro spalle, seduto davanti alla porta c’è un Charun. La cosa interessante di questa tomba è la raffigurazione del defunto che si appresta ad entrare nell’oltremondo. Infatti l’affresco sembra rendere esplicito sotto forma di immagine dipinta quello che viene vissuto da chi, suo malgrado, passa attraverso una N.D.E. (Near Death Experience), ovvero un’esperienza di premorte. Di che si tratta? Stando a quanto viene riferito da tutti coloro che sono stati vicino alla morte ma sono tornati indietro per raccontare la loro esperienza, durante il coma ognuno di essi ha visto la propria coscienza separarsi dal corpo, quindi si è sentito attratto verso un tunnel di luce sul cui fondo ha visto aprirsi una porta dalla quale fuoriusciva un bagliore accecante. Stagliata su questo bagliore si profilava la sagoma in controluce di un’entità, indistinta ma dai connotati inconfondibilmente umani; questa sagoma si muoveva in lenti gesti rassicuranti che li invitava ad entrare. Superata la porta ad ognuno dei suddetti soggetti gli si sono fatti incontro i parenti defunti, quindi si sono ritrovati nel bel mezzo di splendidi ambienti colorati, prati verdi costellati di alberi in fiore: cioè queste persone hanno visto molte delle cose che ritroviamo raffigurate sulla parete della tomba. Da ciò appare evidente che l’artista etrusco nel raccontare l’oltretomba abbia lavorato su resoconti più che su fantasie. Appurato che sia questo il frangente ispiratore resta da vedere perché tale rappresentazione include la presenza di divinità degli inferi, soggetti assenti nelle narrazioni di coloro che hanno vissuto una N.D.E.

Vulci, necropoli di Ponte Rotto
TOMBA FRANÇOIS (fine IV sec. a.C.)

Roma, villa Albani
Affreschi con l’uccisione di guerrieri troiani (fine IV sec. a.C.) dalla tomba François

A Vulci e non a Tarquinia si trova la tomba François. Si tratta di una tomba diversa dalle altre, in cui troviamo la rievocazione di fatti storici. La tomba François prende il nome dall’archeologo e Commissario regio di marina del Granducato di Toscana Alessandro François (1796–1857), che la scoprì nel 1857, anno della sua morte. È una tomba spettacolare, che non ha nulla da invidiare alle più impressionanti tholoi protostoriche greche. Ha per ingresso una profonda fenditura, tagliata di netto, a perpendicolo, nella roccia che si inabissa nel terreno. Ci si accede tramite un lungo dromos, che scende ripido fra due spalle verticali a 12 mt. di profondità. Giunti in fondo al dromos si para dinanzi una grande apertura trapezoidale. Passandola ci si trova di fronte un giovane vestito con una sontuosa tunica viola decorata con volute e due corpi femminili nudi. È Vel Saties, un aristocratico (lo si capisce dalla toga picta che indossa), il titolare della tomba. Al suo fianco è seduto un personaggio dall’aspetto porcino, che sta per dare il volo ad un uccello dalla coda di rondine. Vel cinge la corona di mirto (o alloro?): il che vuol dire che è diventato immortale. Il suo sguardo è rivolto verso l’alto. Se si interpreta la scena che le sta accanto cioè il rilascio dell’uccello dalla coda di rondine come la partenza dell’anima verso il cielo allora lo sguardo rivolto in alto potrebbe star a significare l’aspirazione a raggiungerlo, il luogo più prestigioso (in questa versione) dove risiedere dopo morti. Insomma a Vel sembra che non vada molto di risiedere nella tomba, desidera i piani alti. Naturalmente non è questa l’unica spiegazione, ma io qui non mi propongo come archeologo etruscologo, quindi questa mi sembra più che sufficiente per lo scopo che mi compete. Vel comunque non è il centro dell’affresco.
Sulle pareti della sala di distribuzione delle celle interne, dal lato dell’affaccio delle cubicole, si fronteggiano due fregi (copie; gli originali si trovano a villa Albani) in cui sono raffigurati cruenti episodi storico/leggendari. A sinistra si incontrano, procedendo verso il fondo, l’ombra di Patroclo, Vanth alata, Achille nell’atto di sgozzare un prigioniero troiano, Charun con elmo e mazza, un guerriero greco con un altro prigioniero troiano pronto al sacrificio. A destra si distinguono due gruppi: uno formato da Caile Vipinas (Celes Vibenna), Macstarna (Servio Tullio, sesto re di Roma) e Aule Vipinas (Aulo Vibenna) fratello di Caile, tutti vulcensi in veste di vincitori; l’altro formato da Cneve Tarchunies Rumach (Gneo Tarquinio di Roma) e altri guerrieri di Sovana e Volsini (Orvieto), tutti in veste di sconfitti. Il primo affresco dunque rappresenta l’episodio mitologico noto come la vendetta di Achille, in cui l’invincibile guerriero sacrifica prigionieri troiani per vendicare la morte dell’amico Patroclo; il secondo affresco rappresenta invece la sanguinosa conquista del trono di Roma ad opera di Servio Tullio, con l’appoggio dei fratelli Vibenna, ai danni del leggendario re Prisco tarquiniese. Il fatto che i due fregi si fronteggiano non è un caso, ma c’è una precisa corrispondenza, un parallelismo fra l’episodio leggendario e l’episodio storico. L’interpretazione più diffusa vuole gli Etruschi di Vulci eredi dei Greci di Achille entrambi vincitori sugli Etruschi di Tarquinia legati ai Troiani, entrambi sconfitti. Un’altra interpretazione potrebbe essere che il sacrificio dei Troiani viene vendicato secoli dopo dalla sconfitta dei sanguinari Etruschi tarquiniesi. Quale interpretazione sia quella giusta non si sa, tuttavia una cosa è certa: la parentela fra Etruschi e Troiani è più volte sottolineata da vari documenti. Virgilio nell’Eneide ricorda spesso i confini territoriali che nel passato hanno legato Rasenna e Ilioti; una lapide etrusca rinvenuta in terra punica riporta una dedica in cui si evince che gli dèi etruschi erano gli stessi dèi venerati dai troiani.
Secondo gli studiosi la presenza di fatti storici nell’aldilà rimanda ad un contenuto ideologico ben preciso. Comparando l’affresco storico con quello mitologico sembra emergere un messaggio chiaro: la vita continua anche oltre la morte e il sangue versato dai prigionieri troiani troverà il suo riscatto nel sangue versato dagli eredi dei vincitori, perché questa è la legge di compensazione che regola il ciclo umano di vita, morte e rinascita, ovvero il ciclo storico. Il fregio con gli episodi storico/leggendari sembra ricordarci che questa legge è una legge universale e naturale, riguarda il mondo dei viventi nelle loro specificità di prede e predatori. Sbranamenti, esecuzioni, cioè morti in cui i vivi vedono l’interruzione violenta della vita, per chi è già morto sono solo un momento del continuo fluire della vita e della morte: nell’aldilà ogni morte è solo il principio di un’altra vita.