Dei quattro bassorilievi di Wiligelmo che decorano la facciata del duomo di Modena due sono posti ai lati del portale maggiore e due sui portali minori. Il tema è tratto dalla genesi. Nel primo pannello c’è raffigurata la creazione di Adamo ed Eva e il peccato originale; nel secondo la cacciata dal Paradiso e il lavoro dei progenitori; nel terzo la storia di Caino e Abele; nel quarto Lamech che uccide Caino, l’arca di Noè e la fine del Diluvio.
La Bibbia figurata di Wiligelmo inizia con l’immagine del Padreterno effigiata in una cornice a mandorla sorretta da due angeli, dove la mandorla sta per l’empireo; segue subito dopo la creazione di Adamo e quella di Eva. A guardar attentamente i due progenitori si nota che entrambi sono privi degli attributi sessuali: Adamo manca del membro ed Eva dei seni, ciò a significare che la prima coppia dell’umanità non ha il problema della procreazione. Tuttavia a tale conclusione si potrebbe obiettare che così non possono neanche amarsi per piacere. E a che scopo dovrebbero? Nel paradiso terrestre ci sono tutti i piaceri che si possono desiderare, molto più intensi di quelli che può procurare fare all’amore. Potrebbe anche essere perché non si vuole turbare il comune senso del pudore dei fedeli, ma se così fosse allora non si spiega perché solo in questo bassorilievo mancano gli attributi. Comunque non è la prima volta che si ricorre a tale espediente per comunicare lo stesso messaggio; in miniature e sculture precedenti la cosa si ripete abbastanza frequentemente.
Tutto cambia decisamente nella scena successiva. Eva ha appena dato da mangiare al suo uomo il frutto dell’albero proibito offertole dal serpente e subito a lei e a lui spuntano gli attributi sessuali e con essi anche il pudore: dunque risulta alquanto chiaro che il sesso è frutto del peccato.
Proseguiamo la descrizione concentrandoci sull’albero del bene e del male. Analizzando questo particolare ci si rende conto di due cose: una è che il frutto del peccato non è un pomo, ma sembrerebbe più che altro, a giudicare da quelli pendenti dai rami, una nespola o, chissà, un frutto tropicale; due è che l’albero sostituisce le colonne nel sorreggere visivamente l’ultima terna di arcatelle. Le arcatelle alludono alla Chiesa, dunque, per logica deduzione, a sorreggere la Chiesa c’è anche l’albero del bene e del male, l’albero della tentazione. In questo capitolo della storia della nascita dell’umanità va sottolineato il fatto che il Signore nello sconsigliare ad Adamo, e solo a lui, di mangiare il frutto proibito, chiami l’albero del bene e del male anche albero della conoscenza, perché di questo potrà morire. E anche in questo caso la conclusione è presto tratta: chi vuole sapere rischia di andare incontro alla morte.
Nella seconda metopa, a partire da sinistra, si vede Dio che, venuto a conoscenza della violazione del divieto di nutrirsi del frutto proibito, chiede spiegazione ad Adamo, il quale per difendersi accusa Eva di averlo indotto a peccare. A sua volta Eva si discolpa buttando la responsabilità addosso al serpente. Individuato il colpevole Dio lo maledice e lo condanna a strisciare per l’eternità. Poi si rivolge ad Eva e le preconizza i dolori fisici del parto e quelli psicologici della sudditanza nei confronti dell’uomo. Dopodiché rivolgendosi ad entrambe le sue creature predilette le avverte che d’ora in poi dovranno faticare non poco per procurarsi da mangiare, per provvedere a vestirsi e dovranno lavorare per sé e per i figli, insomma dovranno soffrire e morire. Ma siccome il Signore è infinitamente buono fa loro due grandi regali: il piacere e la conoscenza. Cosicché da esseri divini Adamo ed Eva diventano esseri umani. La sequenza si conclude con i progenitori che, chini sugli attrezzi di lavoro, zappano la terra. Da quella stessa terra si erge un albero che come quello del bene e del male fa da sostegno alle arcate soprastanti. Questa volta l’allusione è esplicita: il contadino è condannato a reggere la Chiesa col pagamento delle decime. Per evitare l’insorgere di equivoci Wiligelmo riveste i suoi Adamo ed Eva con i miseri panni dei contadini medievali.
Nel terzo pannello la storia si apre con Abele e Caino che si apprestano a far dono al Signore, seduto in trono nella solita mandorla gravante sulle spalle di un telamone, del frutto delle loro fatiche. Abele, pastore, dona un agnello; Caino, contadino, offre un fascio di spighe. Guardando attentamente, Abele appare vestito con un abito di lusso, fitto di pieghe, sulle spalle porta un ampio mantello, ai piedi porta scarpe leggere. Caino appare vestito di abiti più grossolani, non ha un mantello ma un panno messo di traverso col quale si copre le mani (come è uso quando si fa dono al Signore), porta un paio di calzerotti e i piedi sono nudi. Chiaro è il divario socio-economico fra i due: e qui c’è davvero poco da alludere; è tutto molto esplicito. Tra l’altro c’è da notare che Abele nell’offrire l’agnello a Dio non si copre le mani e che in questo caso Dio ci passa sopra e volge ugualmente il suo sguardo benevolo verso di lui a significare la sua preferenza per i nobili pastori. La cosa si spiega: gli Ebrei, il popolo eletto, erano, come i Sumeri e gli Hittiti, un popolo di pastori. Ora come è noto fra pastori e contadini non corre, né è mai corso buon sangue. La maggioranza delle guerre di aggressione sono state causate da popolazioni nomadi ai danni di popolazioni sedentarie di agricoltori. Motivo? la necessità di avere pascoli sempre freschi per i propri armenti.
La scena successiva rappresenta in tutta la sua sconcertante violenza il fratricidio di Caino. Senonché letta in chiave di rapporto fra pastorizia e agricoltura la storia di Caino e Abele risulta la giusta reazione del contadino verso la prepotenza dei pastori e allevatori con cui si identificano i signori feudatari. A conferma di ciò arriva la scena finale. Compiuto il fattaccio, Dio, dopo avergli chiesto dov’è il fratello, non punisce Caino ma ponendogli una mano sulla spalla lo tranquillizza promettendogli che non gli farà niente, anzi tuona contro l’umanità futura ché nessuno lo tocchi. E per essere sicuro che ciò accada pone su di lui un segno indelebile.
Nell’ultima lastra si racconta un episodio tratto da una bibbia apocrifa. Lamech, un nipote di Caino, mentre si trova a caccia sente muovere il fogliame. Tosto chiede al ragazzo che l’accompagna di che bestia si tratta, dal momento che lui non la può vedere poiché è cieco. Il ragazzo, che invece ci vede benissimo, scorge un uomo fra i cespugli e pensando di giocare un brutto scherzo al suo signore, lo incoraggia a tirare dritto sul malcapitato: uno scherzo davvero di pessimo gusto, dalle conseguenze tragicissime. La freccia scagliata da Lamech va dritta dritta a cogliere la gola dell’uomo, il quale trafitto lancia un urlo agghiacciante. Lamech che è cieco ma non sordo sente il grido e subito realizza di aver colpito un essere umano. quando si accorge poi che l’uomo è Caino non connette più e preso da un’incontenibile furia prende il ragazzo e gli spacca il cranio con un’arcata, uccidendolo sul colpo. Ferito a morte Caino, con le ultime forze che si ritrova, s’attacca all’albero della conoscenza; perché? Caino vuole trasfondere la vita che lo sta per lasciare alla fonte stessa del sapere affinché gli uomini possano attingere da essa e vivere.
La morte di un uomo fa sempre riflettere. Abele muore giovane, prima ancora di riuscire a mettere al mondo dei figli. Caino invece lascia degli eredi che a loro volta mettono al mondo una discendenza, l’umanità. Questo fatto potrebbe portare alla conclusione che siamo tutti figli di Caino, un assassino. A porre rimedio alla spinosa questione ci pensa Eva che a cent’anni suonati genera un altro figlio, Set.
L’ultimo episodio affronta il tema del Diluvio Universale. La trama del racconto è troppo nota per starla a ripetere qui. Quello che rappresenta un punto di estremo interesse è invece il modo in cui Wiligelmo la interpreta. Come è risaputo per salvarsi dal cataclisma Noè si costruisce una barca immensa, un’arca, dove c’imbarca la sua famiglia e una coppia di ogni specie animale esistente sulla Terra. Ma qui l’arca non c’è, o meglio Wiligelmo la trasforma in un loggiato a due ordini sovrapposti. Ciò per ricordare a tutti che l’arca della salvezza può essere solo l’opera di un popolo di costruttori, e il popolo costruttore è quello che discende da Enoch, figlio di Caino: Noè. Ecco dunque che nell’ultima immagine si vede Noè e i suoi tre figli, Cam, Sem e Jafet, uscire dall’imbarcazione salvifica, molto simile ad un palazzo comunale, il broletto, vestiti come consoli del brolo, intenti a discutere tra di loro come se stessero facendo progetti sul futuro, un futuro tutto da inventare ripartendo da zero.