COSA RACCONTA IL FREGIO DELLA COLONNA TRAIANA
IL LINGUAGGIO DELLA COLONNA TRAIANA: SINTESI DI CULTURE DI MATRICE DIVERSA
STRUTTURA NARRATIVA DELLA COLONNA TRAIANA
CONSEGUENZE


COSA RACCONTA IL FREGIO DELLA COLONNA TRAIANA

Roma, foro di Traiano
COLONNA TRAIANA (110/113 d.C.)
Marmo di Luni, altezza mt. 29,78

Sul fregio che avvolge la colonna Traiana vengono narrate le due campagne condotte da Traiano contro i Daci, popolazione barbarica insediata nella parte sud-orientale dell’attuale Romania: la prima nel 101–102, e la seconda nel 105–106.
Due sono i motivi fondamentali alla base delle due campagne: uno di ordine politico e uno di ordine economico. Quello di ordine politico riguarda la stabilità del confine nord-orientale, reso insicuro da Decebalo (87-106), il potente re dei Daci, a capo di una compagine politica e militare di tutto rispetto, che può contare sull’appoggio di popoli amici; quello di ordine economico riguarda le miniere d’oro della zona. La prima campagna contro i Daci la organizza Domiziano negli anni 85-86 d.C., ma si risolve in una sonora sconfitta; né vale la vittoria di Tapace a risollevare le sorti e il prestigio di Roma, che è costretta comunque a firmare una pace a fronte della consegna di ingenti somme di denaro nelle mani di Decebalo. Decisa di riprendersi il prestigio oltre che mettere le mani sulle miniere d’oro Roma, con il nuovo comandante in capo Traiano, intraprende una nuova campagna contro le popolazioni daciche.
Precisato ciò, questa la cronaca degli avvenimenti. È la primavera del primo anno del secondo secolo dopo Cristo, Traiano passa il Danubio su un ponte di barche: è l’inizio della prima guerra dacica. L’avanzata è lenta; si costruiscono strade, ponti fortezze; a Tapace arriva la prima vittoria. Al sopraggiungere dell’inverno l’imperatore con le sue truppe si ritira a sud dove il clima è più clemente, costringendo i Daci e il loro re a rimanere a nord al freddo. La mossa traianea da presto i suoi frutti. Le difficoltà in cui si viene a trovare la coalizione porta le forze alleate a ritirarsi dalla lotta. Nell’estate del 102 Traiano circonda Sarmizegetusa, la capitale dei Daci, e costringe alla capitolazione Decebalo: è la fine della prima campagna. La resa è molto dura; troppo perché la pace duri a lungo. Prima di arrivare alla seconda campagna, passano tre anni di continue provocazioni, intrighi politici, segni di intolleranza reciproci. Cosicché nella primavera del 105 si decide da ambo le parti di sistemare la faccenda una volta per tutte. La seconda e definitiva campagna dacica sembra un film già visto, solo il finale è diverso: è molto più tragico. È l’estate del 106 d.C. e la lunga tenzone con i Daci finisce con la morte di Decebalo. Al suo ritorno a Roma Traiano viene accolto da un tripudio stratosferico; i festeggiamenti per la vittoria durano 123 giorni; nel Colosseo vengono trucidate 11.000 fiere; 10.000 gladiatori si affrontano e si ammazzano tra loro per far piacere ai Romani. Ma questo sulla colonna non viene detto.

IL LINGUAGGIO DELLA COLONNA TRAIANA: SINTESI DI CULTURE DI MATRICE DIVERSA

Dal punto di vista compositivo l’opera più che ad un diario di guerra è paragonabile ad un memoriale. Infatti gli episodi narrati non si riferiscono ad avvenimenti di cui l’artista è stato testimone, ma a vicende di cui egli ha raccolto memorie. Cosicché le immagini non dipendono da una percezione diretta del fenomeno, ma tendono a rappresentare una realtà psichica, l’immaginazione dell’artista stimolata dal racconto delle vicende campali, in forma di fenomeno percepito. L’anonimo maestro non trae le sembianze dalla natura, ma visualizza in sembianze naturali il ricordo, la visione suscitata dalle esperienze evocate; per lui l’arte non è rappresentazione del veduto, ma dell’immaginato. Ciò detto potrebbe sembrare che egli si serva di un linguaggio spontaneo, fondato sulle proprie esperienze percettive, e invece non è così. Per darci la sensazione di stare ad assistere ad un avvenimento che accade sotto i nostri occhi egli si serve del linguaggio realistico ellenistico e lo adatta alle circostanze particolari del luogo e del pubblico a cui si rivolge. Questo però non basta a dare una spiegazione esaustiva riguardo allo stile adottato dall’anonimo autore nella redazione del fregio; per ottenerla occorre prendere in considerazione un ulteriore motivo. Se l’intento è quello di raccontare una successione di avvenimenti e non quello di far meditare, allora non c’è bisogno di soffermarsi a lungo sulle singole figure; è importante invece rendere il senso dell’insieme agendo opportunamente sugli elementi compositivi, come la dislocazione spaziale delle masse plastiche e il ritmo delle sequenze, che non deve essere uniforme, ma neanche troppo frammentario; deve scorrere fluido, senza pause troppo profonde, né troppe interruzioni. Scopo dell’artista è rendere immediato il fotogramma del momento suggestivo, sfuggente, della vicenda narrata, o l’espressione momentanea del personaggio raffigurato, non chiarire la struttura formale del fenomeno naturale. Così, analogamente a quanto sta avvenendo nella pittura, anche nella scultura di matrice ellenistica, il modellato si fa sempre più sommario; si guarda all’effetto globale, si tralascia il particolare, si rimanda la definizione delle figure a pochi, indispensabili tratti. Nasce in questo modo un realismo che, mutuando il termine dalla pittura, può essere definito compendiario, cioè riassuntivo, sintetico. Purtuttavia nella colonna si rileva un nuovo elemento stilistico: l’ortodossia realistica è interrotta nel corso dello svolgimento del nastro dall’introduzione di alcuni elementi decisamente estranei al lessico ellenistico.

STRUTTURA NARRATIVA DELLA COLONNA TRAIANA

Le scene si svolgono senza cesure e si inerpicano su per ben 23 giri, seguendo un senso che va dal basso verso l’alto e da sinistra verso destra. Apparentemente senza strutto, le sequenze ricalcano invece uno schema preordinato. La prima campagna è divisa dalla seconda mediante l’inserimento di una Nike alata, intenta a scrivere su uno scudo. Cosa sta scrivendo? Mah! Forse il nome del vincitore, o, molto più probabilmente, la storia degli avvenimenti. Questi si ripetono con lo stesso ordine: l’arrivo delle legioni sul posto; la sistemazione dell’accampamento; l’innalzamento delle fortificazioni; l’incitamento di Traiano prima della battaglia; l’attacco; gli esiti. Tutti questi momenti hanno la loro precisa funzione espressiva nel contesto dell’intero monumento. Le battaglie sono momenti di accumulazione e intensificazione di contrasti fra luce e ombra, mentre le apparizioni dell’imperatore (ce ne sono ben 60) fanno da pause luminose fra un’amplificazione tonale e l’altra. Per essere sicuro di raggiungere il popolo, e non solo i colti, l’ignoto autore dilata le dissolvenze plastico prospettiche allo scopo di creare uno sfondo continuo su cui, poi, fa emergere le figure principali, distribuite sulla superficie della colonna secondo una più ampia scansione dei piani paralleli. Proseguendo nella lettura, non è difficile incappare, durante lo scorrimento delle immagini, in frequenti episodi di sproporzionalità dimensionale. Ad esempio, nei numerosi arrembaggi ai fortilizi, assalitori e difensori risultano giganteschi se rapportati ai bastioni di protezione (nella realtà alti 6 mt.), così come nelle scene di guado del Danubio i soldati romani appaiono notevolmente più grandi dei ponti di barche improntati per attraversare il fiume. Nell’episodio con la morte di Decèbalo poi accade una cosa davvero strana. Il re dei Daci, sopraffatto dalle soldatesche capitoline, sta per suicidarsi, facendo intendere chiaramente di preferire la morte alla resa. Ebbene, non ci sarebbe niente di straordinario se non fosse per le sue dimensioni: egli infatti risulta essere grande quasi il doppio dei legionari a cavallo. Non è dunque un barbaro che sta per essere ucciso, ma un eroe che sta per compiere l’estremo disperato gesto, pur di non perdere la libertà. È un re e come tale più grande, perché più importante, degli stessi soldati romani; a lui viene attribuito un valore pari a quello dell’imperatore; non è più soltanto il nemico, ma è il capo valoroso degli avversari sconfitti. E questo lo si esprime visivamente mediante l’aumento delle sue dimensioni rispetto a quelle delle altre figure.
Nella colonna Traiana sebbene l’immagine artistica sia realistica quello che si vede non è realistico. Lo spazio non è natura, ma un contenitore sottoposto alle esigenze della narrazione; non valgono più le proporzioni reali, quel che conta è il rilievo assunto nel contesto della storia. I valori che l’artefice della Colonna persegue sono quelli pittorici della cultura ellenistica, ma l’intenzione è stare ai fatti, belli o brutti che siano, mentre nella cultura ellenistica l’intenzione è cogliere il bello o il brutto naturali.

CONSEGUENZE

Quali le conseguenze del nuovo indirizzo poetico espresso nella colonna Traiana?
Essendo l’immagine artistica un mezzo di comunicazione di contenuti che hanno origine nella mente senza bisogno della presenza dell’oggetto, il patrimonio d’immagini elaborato dalla cultura classica perde il suo carico di conoscenza e si trasforma in puro strumento espressivo. In questo modo il realismo ellenistico si fa sempre meno realistico, fino al punto di produrre immagini simili a quelle naturali senza aver più bisogno di porsi di fronte al modello reale. Ora, proprio questo passaggio da un naturalismo analitico di origine ottica, distintivo della cultura figurativa ellenistica, ad un naturalismo sintetico di origine mnemonica costituisce il primo passo verso la dissoluzione del linguaggio occidentale: siamo alle soglie di una nuova era, quella che gli storici dell’arte hanno chiamato tardo antica.