IMPORTANZA STORICA DEL PERIODO ROMANTICO
PRINCIPALI CAUSE GENERATRICI DELL’ARTE DEL PERIODO ROMANTICO
FONDAMENTI IDEOLOGICI DELL’ARTE DEL NUOVO CICLO ROMANTICO
CAUSE TEORETICHE: LA NUOVA CONCEZIONE DEL MONDO E LA RIDEFINIZIONE DEL RAPPORTO FRA L’ARTE E LE ALTRE DISCIPLINE DEL SISTEMA CULTURALE OCCIDENTALE
ARTE E NATURA
ARTE E METAFISICA
ARTE E SCIENZA
DIFFERENZA FRA CONOSCENZA ARTISTICA E CONOSCENZA SCIENTIFICA
RAPPORTO CON LA CULTURA STORICA
I RISCHI DI UN MONDO AD UNA SOLA DIMENSIONE: LE RADICI CRITICHE DEL PENSIERO ROMANTICO
CAUSE PRATICHE: CRISI DELL’ARTE COME MODELLO TECNICO
L’ANOMALIA ROMANTICA
LE BASI DELL’ARTE ROMANTICA
PITTORESCO E SUBLIME: CARATTERI PECULIARI
LE RISPOSTE DELLE DUE POETICHE ALLE NUOVE PROBLEMATICHE
PRECEDENTI STORICI
PUNTI NODALI COMUNI
RAPPORTO FRA PITTORESCO E ISTANZE ILLUMINISTE
ALEXANDER COZENS, PIONIERE DEL PITTORESCO
IL SUBLIME
ANALISI DELL’OPERA ISAAC NEWTON
ANALISI DELL’OPERA L’INCUBO
IMPORTANZA STORICA DEL PERIODO ROMANTICO
Londra, Tate Gallery
ESTERNO
Con l’espressione “periodo romantico” si fa riferimento a un’ampia fase storica e culturale che si sviluppa tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, durante la quale in tutta Europa si afferma una nuova sensibilità artistica e intellettuale in contrasto con i principi del razionalismo illuminista e del neoclassicismo. È un’epoca caratterizzata dal prevalere dell’emozione, del sentimento, della soggettività e del rapporto intimo con la natura, intesa come specchio dell’animo umano. Questa nuova concezione dell’arte e dell’artista comporta un cambiamento radicale: l’opera non è più soltanto imitazione o rappresentazione della realtà, ma diventa espressione interiore, manifestazione di un sentire unico e irripetibile. In questo modo, il Romanticismo apre la strada a un’idea di arte autonoma, personale e sperimentale — una visione che costituirà la base su cui si svilupperanno, nei decenni successivi, i principali movimenti dell’arte moderna, dall’Impressionismo all’Espressionismo, fino all’Astrattismo.
PRINCIPALI CAUSE GENERATRICI DELL’ARTE DEL PERIODO ROMANTICO
Le principali cause che hanno dato origine al Romanticismo vanno ricercate nel contesto socioeconomico e culturale del periodo. In particolare, si possono distinguere due aspetti fondamentali: da un lato, le nuove concezioni nate dalla filosofia e dalla speculazione illuminista della prima metà del Settecento; dall’altro, le trasformazioni socio-produttive legate all’avvento della macchina a vapore e all’inizio della rivoluzione industriale. Sul piano teorico, il Romanticismo segna una cesura con la tradizione, introducendo nuove concezioni del mondo, sia fisiche sia metafisiche. Queste concezioni comportano una revisione dei rapporti tra l’arte e le altre discipline del sapere occidentale, come la scienza, la tecnica, la religione, la storia e la filosofia, ridefinendo così il ruolo dell’arte nel contesto culturale di una società in rapido cambiamento. Sul piano pratico, invece, il Romanticismo si confronta con le nuove esigenze socioeconomiche: emerge il problema del rapporto tra l’arte e il contesto produttivo, cioè della sua funzione e del suo significato in una società in trasformazione. Tuttavia, va sottolineato che l’arte romantica non si limita a una funzione utilitaristica: il suo ruolo principale resta l’espressione dell’individualità, dell’emotività e della riflessione sul mondo. Nei paragrafi successivi analizzeremo più nel dettaglio queste nuove concezioni del mondo, i rapporti tra arte e cultura, e le questioni pratiche sollevate dal nuovo contesto socioeconomico, dopo aver esaminato le fonti ideologiche che hanno dato origine al Romanticismo.
FONDAMENTI IDEOLOGICI DELL’ARTE DEL NUOVO CICLO ROMANTICO
Le prime risposte alle nuove questioni culturali e sociali emergenti si collocano nel pieno periodo assolutista, quando in Europa — dopo il lungo dominio del Re Sole, Luigi XIV (1643-1715) — regna Luigi XV (1715-1774) e si afferma lo stile Rococò.
A fornire tali risposte sono gli illuministi, intellettuali che, attraverso la loro attività speculativa e critica, si fanno interpreti dei profondi mutamenti prodotti dal progresso scientifico, dalla riforma del pensiero e dall’avanzare di una nuova coscienza laica. In campo artistico, le idee illuministe si manifestano nelle tendenze anti-rococò rappresentate dal Classicismo settecentesco e, in altra misura, dal Vedutismo.
Se il Rococò celebra la grazia, la frivolezza e il gusto aristocratico, il Classicismo recupera la misura, la chiarezza e la razionalità del mondo antico; il Vedutismo, invece, traduce l’osservazione diretta della realtà in un linguaggio oggettivo e misurato, quasi scientifico. Tutte le espressioni artistiche successive, anche le più radicali e sperimentali, condividono con l’arte del secolo dei Lumi alcune strutture ideologiche di fondo: la fiducia nella ragione, la ricerca di universalità, il rigore analitico dell’osservazione. In questi primi nuclei teorici le più spettacolari esperienze estetiche moderne trovano il loro remoto fondamento e la loro legittimazione storica. L’Illuminismo non inventa un nuovo linguaggio formale, ma interviene in profondità sulle strutture linguistiche barocche, razionalizzandole e rendendo più autentico e meno enfatico l’operato degli artisti.
Il suo intento non è rivoluzionario, ma riformatore: tende a disciplinare l’espressione estetica secondo criteri di chiarezza, equilibrio e sobrietà. Come afferma Denis Diderot, l’arte deve «istruire dilettando», essere cioè uno strumento di conoscenza e moralità, capace di coniugare sensibilità e ragione. In questo senso, la riflessione illuminista non riguarda soltanto le tecniche o i mezzi dell’arte, ma anche le sue finalità ultime: la distinzione tra conoscenza percettiva, propria dell’esperienza estetica, e conoscenza cognitiva, propria della scienza, è una delle conquiste concettuali più rilevanti del secolo. Il momento decisivo si compie quando, sotto la spinta delle nuove istanze laiciste e razionaliste, l’arte assume un nuovo oggetto d’interpretazione: «l’esperienza sensibile dell’uomo, il sentimento, la natura e la realtà quotidiana». In questo passaggio l’artista non rappresenta più l’assoluto teologico, ma la condizione umana, la vita nella sua verità terrena. Già Johann Joachim Winckelmann, padre del Neoclassicismo, afferma che la bellezza ideale nasce dall’armonia tra intelletto e sentimento, preludio di quella sintesi tra ragione e passione che sarà il cuore del pensiero romantico. Nelle pieghe del pensiero illuminista germogliano dunque le radici ideologiche del futuro Romanticismo.
L’idea di una conoscenza estetica autonoma, la rivalutazione del sentimento, l’interesse per la natura e per la soggettività individuale costituiscono gli elementi di transizione verso un nuovo ciclo spirituale dell’arte.
Il Romanticismo non nasce come negazione dell’Illuminismo, ma come suo superamento dialettico: dalla ragione all’immaginazione, dalla misura al sublime, dal reale al possibile.
Tra la fine dell’età barocca e l’affermarsi del pensiero illuminista, l’arte occidentale attraversa un profondo mutamento teorico e culturale. La crisi dei valori religiosi tradizionali, l’espansione della scienza sperimentale e la nascita di una nuova coscienza dell’individuo portano a ridefinire il rapporto fra arte, conoscenza e società. In questo periodo si delinea progressivamente un’idea moderna di arte, autonoma rispetto ai poteri religiosi e politici, capace di esprimere non più il divino ma l’umano. Fin dalle origini della civiltà, la creatività estetica ha avuto un ruolo fondamentale nel rendere visibili dimensioni simboliche, spirituali o immaginarie dell’esperienza umana. Con il passaggio dalla cultura mitico-religiosa a quella razionale, l’arte ha progressivamente mutato funzione: da strumento per rappresentare l’“altro mondo” è diventata mezzo per interrogare e interpretare questo mondo. Con l’età moderna e, in particolare, con la speculazione illuminista, si afferma una visione razionalistica e immanentistica della realtà. Si ridimensiona l’idea di un piano trascendente e si concentra l’attenzione sull’uomo, sulla natura e sulla società. Lo spirituale non viene necessariamente negato, ma non è più inteso come entità autonoma e separata: è piuttosto radicato nel profondo dell’essere umano. Per secoli, in epoca medievale e barocca, l’arte era stata considerata uno strumento al servizio della fede e del potere politico. Nel Seicento, soprattutto con la Controriforma, l’immaginazione artistica aveva la funzione di commuovere e coinvolgere i fedeli, mentre nel Settecento rococò essa divenne più leggera e mondana, espressione di una sensibilità raffinata e profana. Con il Romanticismo, invece, il rapporto fra arte e società diventa oggetto di riflessione autonoma: l’artista inizia a concepire sé stesso come voce individuale e non più come interprete di un ordine trascendente. L’Illuminismo segna il momento in cui il sapere scientifico assume il ruolo guida nella comprensione del mondo. La scienza non riconosce realtà ultraterrene, poiché ne manca la prova, e il suo orizzonte è quello di un mondo osservabile e misurabile. In questa prospettiva, l’arte perde la funzione di mediazione con il divino e si trova a ridefinire il proprio scopo in rapporto alla nuova conoscenza scientifica. In un contesto dominato dalla ragione e dall’esperienza, l’arte assume obiettivi civili e morali, non più religiosi. Essa si rivolge a un pubblico laico e colto, e si propone di rappresentare poeticamente le dimensioni sensibili, naturali e sociali dell’esistenza. Se in passato aveva affiancato la religione per dare forma a un universo metafisico, ora affianca la scienza per dare un’anima al mondo reale, fisico e umano — l’unico che la ragione possa indagare. In sintesi, la nuova concezione del mondo maturata tra Illuminismo e Romanticismo segna il passaggio da un’arte al servizio del trascendente a un’arte centrata sull’esperienza umana e sulla libertà creativa. L’artista, liberato dai vincoli della committenza religiosa o monarchica, diventa interprete della realtà e portavoce di una visione personale. È in questa trasformazione che nasce l’arte moderna: autonoma, riflessiva e consapevole della propria funzione culturale, non più ancella della fede ma compagna critica della ragione.
Il rapporto fra arte e religione è strettamente connesso a quello fra arte e natura.
A partire dalla metà del XVIII secolo, con l’affermarsi dell’empirismo e del criticismo kantiano, si diffonde tra i pensatori e gli artisti più innovatori d’Europa la convinzione che ogni conoscenza del Creato, ogni idea che ci formiamo della realtà, dipenda dall’elaborazione delle sensazioni nella nostra coscienza.
La conoscenza visiva — forse la più importante per l’uomo — deriva quindi dall’attività mentale che organizza e interpreta le immagini percepite attraverso l’apparato visivo. Tuttavia, la natura (o Dio, per i credenti) non ci ha concesso di sapere se le percezioni corrispondano realmente alle cose in sé — a quella “cosa in sé” (Ding an sich) che, come affermerà Kant, resta inconoscibile. Ogni conoscenza ulteriore è dunque il risultato di una successiva elaborazione mentale delle sensazioni.
Ciononostante, l’uomo dimostra di sapersi orientare con straordinaria efficacia nel mondo, anche in assenza di certezze metafisiche. In questo contesto, l’apparato visivo, che ci consente di esercitare un controllo sempre più consapevole sulla realtà, assume un’importanza decisiva. Di conseguenza, nel periodo romantico si riafferma il valore delle sensazioni e della loro elaborazione interiore: l’esperienza visiva diventa non solo fonte di conoscenza, ma anche espressione della soggettività.
In questo nuovo quadro ideologico, la natura non è più considerata come una forma data una volta per tutte, ma come uno stimolo cui l’uomo reagisce in modi sempre diversi: non più modello da imitare, ma mistero da interpretare. L’attività figurativa, di conseguenza, non è più la semplice copia del Creato, bensì la visualizzazione della sua interpretazione.
A partire dal Romanticismo, in opposizione al razionalismo illuminista, l’arte non si occupa più esclusivamente di rappresentare la realtà esterna, ma di esprimere la soggettività e l’interiorità dell’artista. Se per il pensiero illuminista l’arte era uno strumento di educazione e comunicazione razionale, finalizzato a cogliere e ordinare il mondo naturale secondo principi universali, con il Romanticismo l’attenzione si sposta dal mondo esterno al mondo interiore. In questa nuova concezione, l’uomo non è più la misura di tutte le cose: non governa più le proporzioni dell’universo secondo la ragione, ma è parte di un ordine più vasto, attraversato da sentimenti, percezioni e forze misteriose. L’essenza dell’arte non risiede più nella rappresentazione oggettiva della natura, ma nell’interpretazione delle immagini psichiche, delle emozioni e dei moti dello spirito umano. Ciò spiega la crescente importanza di temi come il paesaggio, le scene di vita quotidiana, gli animali e le nature morte, non più come esercizi di imitazione della natura, ma come strumenti per esprimere stati d’animo e contenuti simbolici. In tal senso, l’arte diventa uno specchio della coscienza individuale, in cui il soggetto dell’opera — l’artista o l’osservatore — assume un ruolo centrale nella costruzione del significato. Dall’Illuminismo in poi, quindi, si assiste a una transizione: l’arte smette di occuparsi esclusivamente di ciò che sta “al di là” dell’immagine, ossia dell’oggetto naturale, e si concentra su ciò che sta “al di qua”, sulla percezione, sull’interpretazione e sulle emozioni dell’essere umano. In questo senso, la ricerca artistica diventa strutturale, ma non più della natura: la struttura dell’opera riflette quella del mondo interiore, dell’animo umano, e si fa portatrice del contenuto più profondo della nuova sensibilità romantica.
La principale questione dell’arte nell’epoca romantica o moderna riguarda il rapporto con la scienza. La storia dell’arte di questo periodo può essere letta come la storia di una crisi della creatività visiva intesa come mezzo di conoscenza della natura, ovvero come la ricerca di nuove finalità culturali a cui indirizzare l’arte in alternativa alla scienza. Tradizionalmente, il lavoro artistico ha spesso avuto l’obiettivo di rendere visibili realtà trascendenti o ideali, altrimenti impercettibili. Con l’Illuminismo, l’attività creativa smette di guardare al mondo trascendente e si concentra sul mondo terreno, cioè sulla realtà naturale e sociale. Questa realtà non è metafisica ma fisica, e della sua conoscenza si occupa principalmente la scienza. Ci si chiede quindi quale senso abbia, per la ragion d’essere dell’arte, occuparsi della realtà naturale e sociale. Già l’arte del Seicento aveva fornito una risposta a questa domanda: la comunicazione tra i due mondi non avviene soltanto sul piano estetico, ma anche su quello etico e morale. Come sottolineato da san Carlo Borromeo (1538-1584), occuparsi del mondo terreno rientra in un disegno globale di salvazione, e l’arte è uno degli strumenti per farlo. Tuttavia, questa impostazione non si adatta agli illuministi, per i quali la religione tradizionale è spesso vista come superstizione o credenza non razionale, mentre alcuni pensatori propongono una religione razionale o deista. Sul piano teorico, il problema si risolve affermando che l’esperienza estetica produce conoscenza come la scienza, ma di tipo diverso: una conoscenza sensoriale, non concettuale, fatta di valori visivi e sensazioni, non di dati empirici. L’arte non ha più il compito di mostrare una realtà alternativa, ma di offrire una conoscenza complementare della realtà percepibile. Per gli illuministi, la scienza è lo strumento che consente all’uomo di comprendere e dominare la natura attraverso l’osservazione e la ragione. Tuttavia, l’uomo è anche un essere spirituale, e la comprensione dell’aspetto poetico e formale delle cose amplia il suo orizzonte speculativo e arricchisce la sua formazione interiore. Analizzare le relazioni di armonia o dissonanza tra gli elementi strutturali di una sensazione visiva permette di apprezzare l’universo come un insieme esteticamente affascinante e funzionalmente coerente, favorendo la crescita culturale e umana.
DIFFERENSZA FRA CONOSCENZA ARTISTICA E CONOSCENZA SCIENTIFICA
Il pensiero illuminista distingue nettamente tra l’arte e la scienza, attribuendo a ciascuna una propria sfera d’indagine e un diverso scopo. Alla scienza, che opera nella sfera dell’intelligibile, spetta il compito di trasformare la percezione, soggettiva e variabile, in conoscenza oggettiva e stabile. L’arte, invece, agisce nella sfera del sensibile e mira a cogliere la percezione così com’è, nel momento in cui si manifesta, prima che l’elaborazione mentale la trasformi in dato scientifico. Pur partendo dalla stessa esperienza e dalla medesima attività speculativa, le due discipline si muovono in campi diversi: la scienza si concentra sull’essere, l’arte sull’apparire. Inoltre, perseguono obiettivi differenti: la scienza vuole documentare e spiegare, l’arte intende evocare sensazioni, emozionare e coinvolgere. Nella scienza, la rappresentazione di un oggetto è un mezzo per arrivare alla conoscenza; nell’arte, l’espressività e la percezione del soggetto sono l’obiettivo principale. La scienza evita la suggestione, mentre l’arte la valorizza. Se la prima è descrittiva e analitica, la seconda è sintetica e creativa. La scienza si occupa delle nozioni e del loro valore conoscitivo, l’arte del valore delle sensazioni. In questo modo si crea una frattura rispetto all’“universo figurativo classico”, fino a quel momento più uniforme e indistinto. Una conseguenza di questa separazione è la nascita dell’illustrazione scientifica come settore specialistico, distinto dall’illustrazione artistica: nel primo caso l’obiettivo resta il dato, nel secondo la sensazione. Rimane tuttavia una domanda fondamentale: questa conoscenza alternativa è necessaria? L’arte non è indispensabile alla sopravvivenza, ma ha un ruolo cruciale nella ricerca linguistica e nella comunicazione visiva. Anche la scienza, per esprimersi, deve usare parole o forme; la struttura di queste, che appartiene alla dimensione estetica, rientra fra i compiti dell’arte. Ricercare l’essenza di una cosa, la sua forma, il colore o la struttura del linguaggio visivo è compito dell’arte; la scienza può solo utilizzare gli strumenti espressivi già sviluppati dall’arte. Un esempio storico di questo legame tra arte e percezione moderna è l’influenza degli impressionisti, che hanno modificato la sensibilità visiva del pubblico, contribuendo indirettamente alla nuova visione del mondo industriale e urbano. In epoca romantica, il problema di definire il ruolo e il significato dell’arte diventa centrale: comprendere cosa l’arte può fare e a cosa serve è il nucleo dell’attività creativa di quel periodo.
RAPPORTO CON LA CULTURA STORICA
Sia la sensazione che la nozione sono soggette a variazioni. La sensazione, per sua natura, è soggettiva e fugace, strettamente dipendente dalla luce e dal soggetto recettore; la nozione, invece, ha un carattere temporaneo, influenzato dalla progressività della conoscenza e dalla possibilità di errore. Questo significa che, sia in arte sia in scienza, non ha più senso considerare il passato come modello dogmatico o infallibile, ovvero i risultati di chi, dotato di sensibilità diversa, si trovava a uno stadio di conoscenze meno avanzato. Cadono così le istanze storiciste che vedevano l’Antico come cultura indiscutibile da tradurre passivamente in pratica. Ciò non significa però ignorare o cancellare il passato: farlo significherebbe rischiare di “reinventare il cavatappi”. Al contrario, è fondamentale continuare a guardare alla storia con occhi critici, per potersi confrontare con la realtà contemporanea in maniera sempre nuova e originale.
I RISCHI DI UN MONDO AD UNA SOLA DIMENSIONE: LE RADICI CRITICHE DEL PENSIERO ROMANTICO
Il rischio principale della nuova dimensione creata dalla scienza è quello di ridurre l’esperienza del vivere a una questione di puro controllo, come osservava Max Weber parlando della razionalizzazione della società moderna. In questo contesto, l’arte emerge come antidoto: attraverso la sua forza, trasforma la vita in un’esperienza di apprezzamento estetico, secondo la concezione di Goethe, che considerava l’arte veicolo di conoscenza e di elevazione dell’animo. Analogamente alla religione, che secondo Émile Durkheim conserva ancora una funzione sociale in un mondo dominato dalla scienza, anche l’arte crea una dimensione alternativa a quella reale. Questa dimensione, tuttavia, non è più religiosa né magica; si tratta di una dimensione laica, ideale e poetica, in cui la presenza estetica non serve a propiziare nulla e non deve necessariamente rassicurare l’uomo, come suggeriva Schopenhauer nella sua filosofia del sublime, capace di suscitare anche inquietudine e disturbo. La ricerca di questa dimensione nasce dalla necessità di evadere da una realtà che non lascia spazio al sogno e all’immaginazione, e di ricercare suggestioni intense che la dimensione scientifica ordinaria non può offrire. Cercare un’alternativa significa considerare insufficiente l’esperienza quotidiana nella sua capacità di produrre emozioni. Dopo la Rivoluzione Industriale, l’arte continua così a formulare un giudizio critico sulla realtà contingente; neanche il cristianesimo, secondo Kierkegaard, aveva negato completamente la positività dello stato di fatto. Alla visione positivista degli illuministi — come Condorcet e D’Alembert — si contrappone la visione critica e negativa del Romanticismo, incarnata da Novalis, Hölderlin e Schiller, che propongono un ritorno alla soggettività, all’intuizione e alla sensibilità. Per il pensiero romantico, l’arte è la trascrizione di presenze percepibili più con l’intuizione che con la vista, permettendo di conoscere un mondo trascendente e spirituale, secondo Novalis. In questo senso, l’arte romantica resta legata alla sensibilità religiosa, come dimostrano le opere di Caspar David Friedrich, pur conservando autonomia e laicità: l’adesione al sentimento religioso diventa libera, come sottolineava Friedrich Schlegel. Nonostante le differenze tra cultura positivista e cultura romantica, entrambe convergono su un punto fondamentale: nel pensiero positivista, rappresentato da Comte e dagli illuministi francesi, natura e società non sono più entità metafisiche; nel pensiero romantico, lo spirito si identifica sempre meno con il divino trascendente e sempre più con l’interiorità umana, secondo Humboldt. La filosofia romantica solleva anche la questione dell’utilità dell’indagine metafisica, considerando che essa non potrà mai essere conosciuta pienamente, come argomentava Kant. Tuttavia, la mancanza di certezze assolute non rende vana la ricerca della verità: in un mondo dominato dalla scienza, le domande sull’essenza delle cose e sui fini della vita mantengono il loro valore, e le risposte costituiscono il contesto entro cui si sviluppa il nuovo rapporto tra arte e metafisica. Ci sono ambiti fondamentali per l’uomo in cui la scienza non può intervenire; per questo l’arte e le discipline legate al trascendente conservano un valore estremo. La critica positivista tende a escludere l’essenza, mentre quella romantica la identifica con una presenza che, dal punto di vista razionale, è indefinibile e può essere solo “sentita”, secondo Schopenhauer. Per gli illuministi, come Diderot, la base del processo creativo è l’esperienza visiva, guidata dalla ragione per rendere l’arte fruibile a tutti. Per i romantici, invece, sensibilità e intuito sfuggono agli schemi razionali: l’arte non è fatta per tutti, ma solo per chi è in grado di elevarsi spiritualmente al di sopra dell’esperienza comune, come ribadivano Novalis e Schiller.
CAUSE PRATICHE: CRISI DELL’ARTE COME MODELLO TECNICO
La storia dell’arte del periodo romantico è anche la storia della crisi dell’arte come modello unitario di operatività produttiva svolta a beneficio della società. L’attività creativa che va incontro alla crisi in questo periodo non è la creatività visiva intesa in senso astratto, come insopprimibile necessità espressiva dello spirito umano, ma la creatività così come si è manifestata dagli albori della civiltà fino alla Rivoluzione industriale: il prodotto dell’impegno di un lavoratore che unisce all’abilità manuale la sapienza teoretica, l’intelligenza speculativa e l’ingegno inventivo.
Scopo di tale attività non è soltanto soddisfare un’esigenza materiale, ma rispondere a un bisogno spirituale e simbolico. L’arte, in questo senso, è stata intesa come operosità produttrice di oggetti destinati a permanere nel tempo, testimonianza di un’attività fondata sulla creazione di opere originali, uniche e irripetibili, cui la collettività riconosce un valore spirituale e per le quali l’artista è considerato figura professionalmente e socialmente prestigiosa. È l’arte come modello di qualità operativa artigiana, sorretta da una solida cultura teoretica oltre che tecnica, orientata alla scoperta di modelli formali inediti. La crisi di questo modello si spiega facilmente: fintanto che la produzione dei beni materiali era affidata all’abilità delle mani dell’uomo, l’arte poteva costituire un modello di perfezione tecnica e di riferimento operativo (a Michelangelo, emblema del connubio tra arte e tecnica, guardava anche il falegname che doveva intagliare le zampe di tavoli e sedie). Ma in una situazione in cui il lavoro dipende da una macchina, a che può più servire l’abilità manuale?
L’arte di cui si approssima la fine è dunque un’arte che ha sempre unificato due valori fondamentali: da una parte il valore speculativo, dall’altra il valore tecnico. Con la moderna civiltà tecnologica e industriale, e in particolare con l’avvento della macchina a vapore, la produzione ordinaria non è più affidata alle mani dell’uomo ma agli utensili meccanici. Ne consegue la caduta del rapporto di dipendenza tecnica che legava il lavoro produttivo a quello artistico. Rimane solo il ruolo speculativo, ma anche questo non può più fondarsi sull’esperienza dell’artefice: per far funzionare una macchina è necessario un preciso programma operativo, e questo non ha nulla a che vedere con la manualità. Così, nel nuovo contesto socioeconomico formatosi dopo la nascita dell’industria, tecnica e speculazione teoretica si separano: l’una passa nelle mani dei tecnici e degli ingegneri, l’altra lascia spazio agli artisti in qualità di progettisti o creatori di forme. Questo mutamento segna la trasformazione dell’artefice creativo da libero artigiano a figura progressivamente integrata o subordinata all’apparato industriale. Un’arte che dipende da qualcuno, tuttavia, pone la libertà creativa — valore irrinunciabile per l’indipendenza dell’espressione artistica — di fronte al rischio di estinzione, a meno che l’organizzazione sociale del lavoro non ne rispetti l’autonomia. La storia, come osservano Hegel e Marx, dimostrerà che questa condizione non si realizzerà pienamente: la separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale, tra arte e tecnica, porterà molti artisti a una condizione di alienazione rispetto all’apparato produttivo della nuova realtà scientifica e tecnologica. Ne nascerà la reazione romantica, che esalterà l’ispirazione individuale e il genio come valori assoluti, e più tardi, tra Ottocento e Novecento, il sogno di una riconciliazione tra arte e produzione attraverso i movimenti dell’Arts and Crafts di William Morris o, in seguito, del Bauhaus di Walter Gropius. Come scriverà più tardi Walter Benjamin, la riproducibilità tecnica delle opere segnerà definitivamente la perdita dell’“aura” dell’opera d’arte, sancendo così la fine della sua funzione di modello tecnico e spirituale per la società.
La trasformazione dell’artista da artigiano specializzato — un operaio privilegiato per competenze tecniche superiori alla media — a intellettuale dotato di consapevolezza teoretica e autonomia creativa trova un punto di svolta con Giotto (1266 ca. – 1337). Con lui l’arte si emancipa dalla mera esecuzione manuale per farsi atto di riflessione e invenzione. A partire da questo momento, molti dei grandi maestri del Rinascimento — Leonardo da Vinci (1452–1519), Michelangelo Buonarroti (1475–1564), Raffaello Sanzio (1483–1520) — incarnano la figura dell’artigiano intellettuale: l’artista che unisce alla maestria tecnica la piena coscienza del proprio ruolo culturale e conoscitivo. Con l’età moderna e, in particolare, con l’avvento della società borghese, si manifesta una profonda crisi nei rapporti tra arte e apparato socio-produttivo. L’artista, pur appartenendo alla classe borghese, comincia a prenderne le distanze, accusandola di aver sacrificato i valori spirituali in nome dell’utile e del profitto. Da questo conflitto nasce quello che potremmo definire — con una formula interpretativa — l’anomalia romantica: la condizione di un’arte che non rappresenta più i valori della classe dominante, ma nemmeno quelli della classe subordinata. Tradizionalmente, l’arte è sempre stata legata a una determinata forma sociale e ne ha espresso i valori estetici, fungendo da strumento di rappresentazione o di orientamento culturale. In una società divisa in classi, l’arte ha ora rispecchiato, ora contestato, i valori delle diverse componenti sociali. L’anomalia romantica consiste nel fatto che l’arte moderna non si identifica né con l’estetica del potere borghese né con quella popolare o proletaria: essa è il prodotto di una minoranza intellettuale che rigetta sia la mentalità utilitaristica della borghesia economica, sia l’orizzonte materialista della classe operaia, ritenuta potenzialmente incline a riprodurre le stesse logiche di dominio una volta al potere. Questa condizione di isolamento genererà un’estetica della trasgressione e della negazione: l’artista moderno, da Baudelaire a Rimbaud, da Nietzsche a Wagner, si pone in antagonismo tanto rispetto al gusto borghese quanto rispetto ai modelli popolari. Ne deriva quell’atteggiamento di distacco e di provocazione che Theodor W. Adorno definirà, più tardi, “autonomia negativa dell’arte”: un’arte che esprime il proprio rifiuto del mondo attraverso la forma stessa.
Tra la fine del XVIII secolo e l’inizio del XIX quattro poetiche in particolare definiscono le concezioni fondamentali intorno alle quali si svilupperà gran parte dell’arte moderna fino ai nostri giorni. Queste poetiche sono: il Pittoresco, il Sublime, il Neoclassicismo e il Romanticismo. Le prime due vengono generalmente considerate preromantiche, poiché anticipano alcune sensibilità e tematiche che saranno centrali nel Romanticismo. Per il Pittoresco, l’arte è la visualizzazione del percepito. Questa corrente valorizza la natura come esperienza estetica, spesso attraverso il contrasto tra ordine e caos, armonia e irregolarità. È strettamente legata alla pittura di paesaggio inglese, con autori come Gilpin e Constable, e al piacere contemplativo del viaggio. Il Sublime rappresenta ciò che travalica i sensi e la ragione. Si associa a sensazioni di grandezza, intensità emotiva e meraviglia, e può essere evocato tanto dalla natura quanto dall’arte. Filosofi come Burke e Kant hanno sottolineato il potere del Sublime di suscitare emozioni che vanno oltre la comprensione razionale. La dottrina neoclassica concepisce l’arte come espressione del bello ideale. Il bello, per il Neoclassicismo, è frutto della razionalità, della misura e della moralità. L’opera d’arte deve manifestare un pensiero ordinato e consapevole, e il gesto dell’artista è guidato dalla volontà e dalla disciplina morale, in continuità con i modelli dell’arte greco-romana. Per i Romantici, l’arte è invece visualizzazione del sentimento. Il sentimento è inteso come reazione passionale e percorso irrazionale, attraverso cui lo stimolo esterno si trasforma in gesto spontaneo, autentico e individuale. Qui l’arte diventa espressione della soggettività, della libertà creativa e della profondità emotiva. Il modo in cui queste nuove concezioni vengono tradotte in linguaggi artistici sarà evidente analizzando le opere dei principali autori di ciascuna poetica. In particolare, con le due poetiche del Pittoresco e del Sublime si apre il percorso verso l’arte romantica, fornendo strumenti concettuali e stilistici che i Romantici svilupperanno pienamente nei decenni successivi.
PITTORESCO E SUBLIME: CARATTERI PECULIARI
Londra, Tate Gallery
INTERNO
Pittoresco e Sublime emergono in Inghilterra nella seconda metà del Settecento, un periodo in cui Londra rappresentava un centro culturale vivace e innovativo. La Tate Gallery conserva oggi molte opere significative appartenenti a queste poetiche, ma non è l’unica istituzione dove possiamo osservare esempi rilevanti: altre collezioni, pubbliche e private, contengono anch’esse testimonianze importanti di questa estetica. I due concetti estetici più discussi in questo periodo sono dunque il Pittoresco e il Sublime. Il Pittoresco nasce come categoria del gusto legata all’osservazione della natura e alla composizione del paesaggio, sviluppandosi in dialogo con l’illuminismo e il senso estetico razionale. Il Sublime, invece, si radica nella riflessione filosofica sulla grandezza e sull’emozione intensa, già presente in autori come Edmund Burke, ed esercita una forte influenza sul preromanticismo e sul Romanticismo. Il Pittoresco privilegia la percezione visiva e la composizione armoniosa dei dettagli naturali, spesso cercando di rendere il paesaggio simile a un “dipinto” ideale, senza vincoli rigorosamente prospettici. La sua poetica valorizza l’osservazione diretta e la fantasia, concependo l’arte come un equilibrio tra ordine e libertà creativa. Il Sublime, invece, è associato a emozioni potenti e spesso contraddittorie: suscita stupore, terrore o meraviglia, trascendendo la mera rappresentazione ottica. La sua forza espressiva può attingere alla cultura classica e alle forme artistiche del passato, ma con l’obiettivo di comunicare esperienze emotive o realtà al di là della semplice apparenza. In sintesi, il Pittoresco valorizza la bellezza naturale e la composizione armonica del visibile, mentre il Sublime cerca di evocare l’infinito, l’intenso o l’ineffabile, andando oltre la semplice riproduzione della realtà. Entrambi, pur con obiettivi diversi, hanno contribuito a definire i caratteri dell’arte britannica del XVIII secolo e a gettare le basi per la successiva fioritura romantica.
LE RISPOSTE DELLE DUE POETICHE ALLE NUOVE PROBLEMATICHE
Come è accaduto per il Neoclassicismo, anche in queste due poetiche preromantiche si affrontano e si offrono risposte alle questioni proprie della cultura artistica del loro tempo. Iniziamo col considerare la questione della distinzione tra i campi d’interesse dell’arte e della scienza.
Il Pittoresco circoscrive il campo dell’arte all’ambito dell’apparente, lasciando alla scienza quello del reale e oggettivo; il Sublime, invece, riserva all’arte il campo dell’esperienza che trascende la percezione sensibile, suscitando emozioni intense e profonde. In questo senso, arte e scienza assumono prospettive differenti: mentre il Pittoresco si concentra sulla rappresentazione ordinata del visibile, il Sublime esplora ciò che supera i limiti della percezione immediata, evocando stupore e sentimento. Un’altra questione fondamentale riguarda la natura strumentale dell’arte. Il Pittoresco concepisce l’attività creativa come ricerca, il Sublime come rivelazione. Nel Pittoresco, il processo artistico è un metodo operativo di analisi e chiarimento dell’esperienza visiva; nel Sublime, l’arte è un mezzo privilegiato per rendere visibili realtà interiori o trascendenti, non percepibili direttamente. Per il Pittoresco l’arte si fonda sull’immagine ottica e sulla percezione fenomenica: le sensazioni giocano un ruolo centrale nella formazione dell’opera. Nel Sublime, invece, l’immagine fenomenica della natura serve a stimolare l’immaginazione e le emozioni, spingendo l’artista a oltrepassare la superficie delle cose: forme e colori diventano veli che suggeriscono realtà più profonde. Per il Pittoresco, l’arte è uno strumento di conoscenza sensibile: la creazione artistica assomiglia a un’analisi percettiva, con lo scopo di rendere suggestiva la realtà. Nel Sublime, l’arte è strumento di visualizzazione dell’“ultrasensibile”: non è una scienza, ma una trascrizione emotiva. L’immagine sublime si traduce attraverso un linguaggio simbolico e metaforico, volto a evocare ciò che non può essere percepito direttamente. Il ruolo sociale dell’arte costituisce un altro punto di differenza. Per il Pittoresco, l’arte ha funzione educativa: insegna a osservare la realtà con ordine e a educare i sentimenti. Nel Sublime, l’arte non mira a insegnare, ma a comunicare esperienze interiori, suscitando emozioni profonde senza finalità didattiche. Le due poetiche anticipano anche i dibattiti sull’arte nella società moderna. Il Pittoresco predilige un contatto diretto con la realtà esterna e le proprie sensazioni; il Sublime privilegia la rappresentazione di visioni interiori e soggettive. Questi due orientamenti anticipano, in termini generali, le tendenze successive dell’arte moderna: una più legata alla percezione e alla realtà esterna, l’altra più legata alla soggettività e all’interiorità. Infine, il rapporto con la natura e con il contesto sociale evidenzia differenze profonde. Per il Pittoresco, la natura è accogliente e stimolante, predisponendo l’uomo a relazioni armoniose con gli altri. Per il Sublime, la natura è grandiosa, misteriosa e spesso minacciosa: di fronte alle sue forze, l’uomo percepisce la propria piccolezza, provando stupore, timore e riflessione interiore. La società moderna, agli occhi del Sublime, appare fredda e materialista, mentre il Pittoresco mantiene un atteggiamento più armonioso e costruttivo verso il mondo. In sintesi, nel Pittoresco e nel Sublime si prefigurano già due principali atteggiamenti dell’arte nei confronti della modernità: uno metodico, positivo e didattico (Pittoresco), l’altro emotivo, interiore e orientato alla soggettività (Sublime).
I precedenti storici delle due poetiche sono evidenti. Nel Pittoresco si riscontra un legame ideale con la tradizione paesaggistica seicentesca e con il vedutismo rococò: come questi, il pittoresco valorizza l’osservazione attenta della realtà e la composizione scenica, pur liberandosi della rigidità strutturale tipica dei modelli precedenti. Nel Sublime, invece, si avverte l’influenza dell’idealismo classico, non tanto nella fedeltà ai canoni formali quanto nella ricerca della maestà e della grandezza che suscitano emozione e contemplazione. Esiste tuttavia una notevole differenza rispetto alle poetiche del passato. Nel Pittoresco la stesura a macchia si fa più rapida e libera rispetto alla pittura realistica seicentesca, e la composizione meno rigida, come nei “capricci” rococò. Nel Sublime, il simbolo perde il carattere universale e oggettivo proprio dell’arte classica per assumere un valore personale, soggettivo e spesso ambiguo. Contrariamente al Pittoresco, la poetica del Sublime rivaluta la fantasia, elemento caro agli artisti barocchi: tuttavia, per gli artisti del Sublime, fantasia e sogno non sono strumenti per evadere dalla realtà, ma mezzi per esplorare e rivelare le profondità dell’essere e le sue strutture più nascoste.
Fra Pittoresco e Sublime non esistono soltanto differenze, ma anche significative analogie. In entrambe le poetiche, infatti, il nodo fondamentale che distingue l’arte dalla scienza risiede nel modo in cui ci si rapporta alla realtà: mentre la scienza privilegia l’analisi oggettiva e razionale dei fenomeni, l’arte si concentra sull’esperienza soggettiva ed emotiva. Nel Pittoresco, questo coinvolgimento nasce dalle immagini suggerite dalla visione delle cose, mentre nel Sublime le emozioni sono stimolate dai pensieri e dalle idee di grandezza o maestosità che la realtà suscita. Per entrambe le poetiche l’oggetto della ricerca artistica non è più la realtà fenomenica esterna, ma quella psichica interna. L’attività creativa non si misura unicamente sulla qualità tecnica, ma sulla coerenza e profondità dell’intuizione estetica. Sebbene opposte per stile ed effetti emotivi, Pittoresco e Sublime condividono radici culturali comuni, nate dal clima illuministico. Entrambe pongono l’accento sulla soggettività e sul sentimento individuale, concepiscono l’arte come espressione dei contenuti del nostro essere interiore, e si aprono alla sperimentazione, rifiutando la mera imitazione di modelli precostituiti. Inoltre, queste poetiche rivalutano la natura e la potenza delle sensazioni, spostando l’attenzione dall’uomo come misura di tutte le cose a un’esperienza estetica che valorizza la reazione emotiva personale. Il momento del “sentire” assume quindi un ruolo centrale: la reazione emotiva accompagna e guida l’esperienza estetica, diventando parte integrante dell’opera stessa. L’arte, per questo, richiede il coinvolgimento diretto e personale dell’artista, e non può essere ridotta a schemi rigidi o a imitazioni standardizzate. Pur seguendo percorsi differenti, Pittoresco e Sublime mirano entrambi ad ampliare l’esperienza visiva del mondo reale. Le percezioni e le visioni che ne derivano sono profondamente soggettive, e i processi creativi che esse generano seguono un percorso personale, non trasferibile e non rigidamente codificabile. Ciò implica che, per queste poetiche, l’arte non può essere semplicemente insegnata come tecnica, ma va prima vissuta e interiorizzata. Infine, entrambe le correnti contribuiscono a una disgregazione del linguaggio classico. Il Pittoresco agisce soprattutto attraverso il colore e la composizione irregolare dei paesaggi, creando suggestione e varietà visiva, mentre il Sublime lavora sulla forza plastica e sulla grandiosità delle forme, capaci di suscitare emozioni di stupore e meraviglia. In questo senso, entrambe le poetiche possono essere considerate preromantiche, perché privilegiano l’intensità dell’esperienza emotiva e il coinvolgimento diretto dell’artista, anticipando il gusto romantico per il sentimento e la soggettività. Viste queste analogie e differenze, è possibile ora approfondire l’analisi di ciascuna poetica, distinguendo le caratteristiche specifiche del Pittoresco e del Sublime.
RAPPORTO FRA PITTORESCO E ISTANZE ILLUMINISTE
Il Pittoresco preromantico rappresenta una delle prime poetiche a chiarire quale possa essere il nuovo orizzonte dell’arte nel contesto socioculturale borghese e proto-industriale. Esso nasce dal sensismo illuminista, che considera le sensazioni la base di tutti i processi conoscitivi, compresa la formazione dell’immagine artistica. Tuttavia, a differenza dell’estetica neoclassica, che enfatizzava ordine, misura e proporzione, il Pittoresco preromantico valorizza la varietà, l’irregolarità e le suggestioni della natura come strumenti per suscitare emozioni. Il compito dell’artista, secondo questa poetica, è prima di tutto quello di chiarire e tradurre in termini visivi ogni singola sensazione: cogliere, tra le percezioni, le relazioni di armonia o contrasto che emergono nell’esperienza della natura. Successivamente, tali sensazioni, inizialmente confuse e soggettive, vengono trasformate in sentimenti coerenti e comprensibili, da comunicare al pubblico attraverso la costruzione dell’opera. In questo modo, al realismo percettivo razionale tipico dell’Illuminismo subentra un realismo percettivo che include anche le emozioni: il risultato è una maggiore aderenza all’esperienza empirica e una libertà espressiva che anticipa il Romanticismo. Nella poetica preromantica del Pittoresco, la natura non è più un modello da imitare fedelmente, ma uno stimolo che genera sensazioni variabili: ciascun osservatore può reagire in modo differente e, persino nello stesso soggetto, le sensazioni cambiano a seconda del momento e dello stato emotivo. In questo quadro, arte e scienza condividono un fondamento comune: la sensazione. Ma se la scienza organizza i dati dell’esperienza in relazioni necessarie e verificabili, l’arte li colloca in relazioni suggestive, emotivamente significative. Con il Pittoresco preromantico si attenuano le ragioni per cui l’opera artistica deve limitarsi a riprodurre fedelmente la natura: ciò che conta è il processo percettivo e sentimentale attraverso cui l’artista costruisce l’immagine. Tuttavia, il ruolo dell’oggetto rappresentato rimane ancora centrale, perché è l’esperienza diretta della realtà a stimolare le emozioni che l’opera trasmetterà.
ALEXANDER COZENS, PIONIERE DEL PITTORESCO
Londra, Tate Britain
Alexander Cozens
ROCKY BAY SCENE (1759/1765)
Olio su carta, altezza mt. 1,60 – larghezza mt. 1,87
Nel 1759 il Pittoresco da prassi corrente si fa teoria con l’inglese Alexander Cozens (1717-1786). Pittore e teorico del paesaggio, Cozens fu tra i primi a interessarsi non tanto alla rappresentazione oggettiva, quanto all’impressione soggettiva prodotta dall’esperienza visiva.
Attraverso il suo celebre metodo delle macchie, egli cercò di fissare sulla carta quel momento del processo percettivo in cui la visione è ancora indistinta e informe, e da cui nasce l’immagine artistica. Eliminando le convenzioni geometriche e la teoria del chiaroscuro, Cozens affidava la creazione al libero incontro tra sensazione e sentimento, guidato dall’immaginazione. Per Cozens, il Pittoresco è dunque una ricerca estetica fondata sull’esperienza dei sensi e sul processo mentale del vedere, più che sulla conoscenza razionale del mondo.
In questo senso, il suo pittoresco si oppone al vedutismo di artisti come Canaletto (1697–1768), ancora legato alla mimesi e alla fedeltà alla natura. Cozens invece privilegia il processo stesso del dipingere, anche a costo di sacrificare l’unità e la verosimiglianza dell’immagine.
Londra, Tate Britain
John Constable
LA CHIUSA E IL MULINO DI FLATFORD (1811 c.)
Olio su tela, altezza cm. 101,6 – larghezza cm. 127
Londra, National Gallery
John Constable
WEYMOUTH BAY ALL’AVVICINARSI DI UN TEMPORALE (1816-1819)
Olio su tela, altezza cm. 88 – larghezza cm. 112
L’artista che, insieme a Turner (1775–1851), contribuisce più di chiunque altro a dar vita allo spirito romantico del Pittoresco è John Constable (1776–1837). Constable e Turner, oltre a chiarire in che modo si configurano stilisticamente le principali problematiche del periodo, esprimono in modo eloquente i due atteggiamenti limite dell’artista di fronte alla natura: l’uno, quello di Constable, potremmo definirlo “impressionistico” per la sua sensibilità verso la percezione immediata; l’altro, quello di Turner, prefigura già un vero e proprio espressionismo ante litteram, trasformando la visione in esperienza emotiva pura. Constable nasce a East Bergholt, nel Suffolk, e muore a Londra alle soglie dei sessantun anni. Per comprendere l’importanza di questo artista nella formazione della sensibilità moderna, analizziamo una delle numerose versioni della Chiusa e il mulino di Flatford, dipinta intorno al 1811, quando aveva circa trentacinque anni. In quest’opera si coglie bene quanto la ricerca pittorica avesse progredito nella direzione di una resa immediata della luce e del colore. L’immagine deriva da un’osservazione diretta del vero, ma – contrariamente a quanto avverrà con l’Impressionismo – non fu eseguita interamente all’aperto: Constable realizzava studi dal vero a olio, che poi rielaborava in studio, fondendo percezione e memoria. Ciò non toglie che la pittura appaia fresca, vibrante, immediata, come se fosse stata dipinta “en plein air”. Constable non struttura la scena attraverso un disegno preliminare, ma costruisce l’immagine direttamente con il colore. Ogni pennellata – o “macchia” – è studiata nella tonalità e nella collocazione, fino a formare un insieme coerente e luminoso. La sua ricerca è tutta rivolta alla scoperta della tinta giusta, quella capace di tradurre il fenomeno luminoso così come viene percepito. Non si tratta di riprodurre fedelmente la realtà visibile, ma di restituire la sensazione provata al cospetto del paesaggio. In questo senso, Constable non mira alla definizione oggettiva delle cose, ma alla percezione cromatica che di esse ha l’occhio sensibile dell’artista. L’arte diventa così un atto eminentemente personale, soggettivo, in cui la verità non è più quella della forma, ma quella dell’emozione. Nel Rinascimento l’arte, pur condividendo con la scienza l’intento di conoscere la realtà come dato oggettivo, rimaneva strumento di espressione dell’armonia del Creato: la prospettiva era allora un mezzo per manifestare l’ordine divino. Così in Piero della Francesca (1410 c.–1492) la costruzione prospettica esprime la struttura trascendente del mondo. Allo stesso modo, Constable non utilizza la prospettiva per misurare lo spazio, ma per amplificare ciò che sente: la profondità non è una descrizione geometrica, ma una risonanza emotiva. Constable è noto anche per i suoi studi sulle nuvole, di cui La chiusa e il mulino di Flatford offre un mirabile esempio. Nel cielo si addensano nubi di varia forma e consistenza, mai compatte ma frantumate in vibrazioni di luce: i bianchi delle parti illuminate e i grigi colorati delle ombre si dispongono liberamente nello spazio, creando un’atmosfera viva e mutevole. In questo si avverte ancora l’eredità del Vedutismo veneto, ma l’esecuzione è più libera, la pennellata più sciolta, la costruzione più immediata. La natura, per Constable, non è più un fondale ordinato ma un organismo in continuo divenire, specchio dello stato d’animo dell’artista e, insieme, della nuova sensibilità romantica verso il paesaggio.
Londra, Tate Britain
Joseph Mallord William Turner
THE SHIPWERCK (Naufragio, 1805)
Olio su tela, altezza mt. 1,70 – larghezza mt. 2,41
Londra, Tate Britain
Joseph Mallord William Turner
SNOW STORM: STEAM-BOAT OFF A HARBOUR’S MOOUTH (Mare in tempesta, 1842 c.)
Olio su tela, altezza cm. 91 – larghezza cm. 122
L’altro grande protagonista del Pittoresco preromantico inglese, accanto a John Constable, è Joseph Mallord William Turner, artista che più di ogni altro incarna l’essenza del Sublime romantico. Nato a Londra nel 1775 e morto nella stessa città nel 1851, Turner dedicò tutta la sua vita all’indagine del paesaggio come luogo privilegiato dell’emozione, del mistero e della potenza della natura. Nel dipinto Il naufragio, realizzato nel 1805, l’artista aveva appena trent’anni. L’opera prende spunto da un evento reale, ma il soggetto viene rielaborato secondo la poetica del Sublime, incentrata sul rapporto drammatico tra l’uomo e le forze incontrollabili della natura. La scena mostra la sproporzione tra l’infinitamente piccolo e l’immenso: i naufraghi, quasi invisibili, lottano contro onde gigantesche e un mare che sembra travolgere ogni speranza di salvezza. Turner rappresenta con straordinaria intensità l’impotenza dell’uomo di fronte alla furia degli elementi, traducendo la tragedia in una visione grandiosa e terribile. In questa fase giovanile, il suo linguaggio pittorico risente ancora del paesaggismo olandese del Seicento, soprattutto nella struttura compositiva e nel contrasto tra i toni cupi del mare e del cielo e i bagliori biancastri delle onde. Tuttavia, rispetto ai maestri olandesi, Turner imprime alle sue tele un carattere più drammatico e visionario, mosso da una partecipazione emotiva che anticipa già il pieno Romanticismo. Negli anni successivi, e in particolare nelle opere tarde, il suo stile evolve verso una libertà sempre maggiore. Le forme si dissolvono, i contorni svaniscono, e tutto sembra fondersi in un turbine luminoso dove il colore diventa protagonista assoluto. In dipinti come il cosiddetto Mare in tempesta, la tempesta non è più un semplice soggetto, ma una pura esperienza di luce e movimento: la pittura stessa diventa tempesta. Si narra – forse più leggenda che realtà – che Turner, per cogliere l’essenza di una burrasca, si fece legare all’albero maestro di una nave durante una tempesta in mare aperto. Che l’episodio sia vero o meno, esso rappresenta simbolicamente la sua concezione dell’arte come esperienza vissuta: non semplice imitazione del mondo, ma immersione totale nelle sue forze più profonde e incontrollabili. Turner rimane così una delle figure più ardite e innovative della pittura europea dell’Ottocento. Nelle sue tele, la natura non è mai semplice scenario, ma protagonista assoluta di un dramma cosmico in cui l’uomo, fragile e piccolo, ritrova al tempo stesso la misura del proprio limite e la grandezza del proprio spirito.
Londra, Tate Britain
William Blake
ISAAC NEWTON (1795-c.1805)
Monotipia (Incisione stampata a colori, ritoccata con inchiostro e acquerello)
Altezza cm. 46 – larghezza cm. 60
In Inghilterra, tra la fine del Settecento e i primi anni dell’Ottocento, il gusto per il Pittoresco trova il suo contrappunto nella poetica del Sublime. Mentre il Pittoresco celebra la varietà armoniosa e la bellezza imperfetta della natura, il Sublime ne ricerca le dimensioni più grandiose, terribili, incommensurabili.
Contemporaneamente, in Francia, Italia e Germania, la reazione al decorativismo rococò genera il Neoclassicismo, orientato verso la misura e la razionalità. Tra Neoclassicismo e Sublime esiste tuttavia una profonda affinità: entrambi si oppongono al naturalismo empirico e all’esteriorità sensibile, cercando una forma d’arte che trascenda il dato immediato. Ciò che li distingue è il modo in cui ciascuno concepisce tale trascendenza: nel Neoclassicismo essa è razionale e armonica; nel Sublime, invece, è visionaria e spirituale, dominata dall’emozione e dall’ignoto. L’interiorità umana, per gli artisti del Sublime, non è fatta solo di percezioni sensibili, ma anche di visioni, di immagini mentali che nascono da profondità misteriose dell’essere. L’arte diventa allora il mezzo attraverso cui queste visioni si rendono percepibili, il momento in cui l’invisibile si fa visibile.
A differenza del Neoclassicismo, che tende a un’elevazione dal reale al soprasensibile, il Sublime si configura come un movimento inverso: una condensazione dello spirituale nel reale, un’apparizione terrena di ciò che è oltre l’esperienza. Per tradurre tali visioni, gli artisti non si affidano ai canoni della forma classica, ma agli elementi espressivi – strutturali e cromatici – del linguaggio pittorico, interpretandoli liberamente per evocare stati d’animo, tensioni e presenze interiori. Non analizzano razionalmente i propri moti spirituali, ma li lasciano emergere nella loro immediatezza suggestiva, affidandosi all’intuizione e alla sensibilità.
Le immagini “sublimi” sfuggono al controllo della mente logica: non sono materia d’indagine scientifica, ma rivelazioni che si offrono solo a chi sa accoglierle attraverso l’intuito. In questa poetica, la scienza e l’arte si trovano ai poli opposti della conoscenza. La prima ricerca la chiarezza, la spiegazione e la misura; la seconda abbraccia il mistero, l’oscurità e la forza del simbolo. Eppure, anche la scienza può assumere un carattere sublime, quando le sue visioni — come quelle di Newton o di Galileo — evocano l’ordine segreto e armonico dell’universo.
Le visioni scientifiche, tuttavia, sono analitiche e oggettive; quelle artistiche sono sintetiche e soggettive. Le prime tendono alla spiegazione, le seconde alla suggestione. L’arte, nel Sublime, è il luogo in cui lo spirituale prende forma. Essa non si fonda sul calcolo ma sull’abbandono, sulla capacità di lasciarsi attraversare dall’esperienza interiore del mondo. È un “mistero dei misteri”, percepibile solo da chi sa affidarsi al proprio intuito.
Nella creazione artistica si manifesta un sapere senza prove, un sapere che non si apprende ma si rivela. È in questo senso che il Sublime preannuncia, ancora in forma embrionale, l’idea romantica di una dimensione interiore e creativa autonoma, distinta dall’osservazione naturale. Nel Sublime l’immagine nasce da un processo interiore che può attingere tanto alla sfera più alta della coscienza quanto alle profondità oscure dell’immaginazione. Da qui prende forma l’autonomia dell’immagine artistica rispetto a quella naturale: l’arte non imita più la realtà, ma la ricrea secondo le proprie leggi interiori.
Anche se l’uomo non è più il centro dell’universo, rimane il centro dell’esperienza artistica, poiché attraverso di lui l’infinito si fa percepibile. Sul piano formale, il linguaggio del Sublime conserva il carattere chiaroscurale della tradizione pittorica, ma ne rinnova il senso: la luce e l’ombra non servono più solo a modellare le forme, bensì a rendere visibile il conflitto tra spirito e materia, conoscenza e mistero. In questo gioco di forze contrapposte, l’arte si fa rivelazione di un ordine profondo che sfugge alla ragione ma che soltanto l’immaginazione può intuire.
ANALISI DELL’OPERA ISAAC NEWTON
Se le opere di Constable fecero gridare allo scandalo, quelle di Blake (1757-1827) fecero gridare alla pazzia. Guardando oggi i lavori di William Blake, artista e poeta inglese nato e morto a Londra all’età di 69 anni, si resta davvero sbalorditi per quanto siano straordinariamente moderne. Lo stupore cresce se si considera che Blake è coetaneo di Antonio Canova (1757-1822). Il Sublime, presente nella pittura di Blake, può essere confrontato concettualmente con la poetica letteraria tedesca dello “Sturm und Drang”. Tra i principali rappresentanti di questa sensibilità figurativa troviamo Johann Heinrich Füssli (1741-1825) e lo stesso Blake. Con quest’ultimo, l’arte oltrepassa la dimensione empirica per spaziare nella sfera del pensiero simbolico e metafisico. Nell’opera dedicata a Newton, Blake evita il ritratto convenzionale dello scienziato. Ci mostra invece una figura titanica, seduta in una posizione alquanto scomoda, intenta apparentemente a risolvere un problema matematico, quasi fosse la quadratura del cerchio. Newton è collocato su un masso la cui superficie è coperta da una vegetazione stilizzata che si stende senza variazioni, quasi a formare un tappeto; la sua forma ricorda, in maniera sorprendente, la capigliatura dello scienziato. Il masso funge da cuneo compositivo, occupando una parte significativa del quadro, mentre l’altra metà appare dominata da un cielo scuro e senza stelle. Il foglio su cui Newton lavora ricorda un rotolo di pergamena, tenuto fermo da un piede, con l’altro lato libero di arrotolarsi; il ricciolo rigido e immobile richiama le volute dei capitelli ionici. Se l’osservatore si fermasse alla mera apparenza, potrebbe concludere che si tratta di pura fantasia, o addirittura di follia. Ma una lettura più attenta rivela un significato profondo: Newton non è rappresentato come individuo, ma come simbolo dell’uomo moderno, colui che si affida alla conoscenza scientifica e razionale. È un titano, un eroe che tenta invano di svelare i segreti dell’Universo, mentre la natura, infinitamente complessa, si apre sopra di lui sostenendolo, pur restando indifferente ai suoi sforzi. Il corpo di Newton, modellato in maniera michelangiolesca, si distingue per il chiaroscuro plastico e la forza formale, mentre la struttura stessa dell’opera, pur ignorando i canoni classici, risulta chiara e inequivocabile. La natura, invece, appare confusa e indefinita: luci e ombre si fondono in un insieme indistinto, e le stesse forme, come la striscia che si stende alle spalle di Newton o quella in basso che suggerisce una crepa, sembrano sfuggire alla rigidità della scienza. La forma razionale, quando tenta di definire il mondo naturale, perde stabilità e chiarezza; ciò che sfugge a Newton lo percepisce invece Blake, con la sua sensibilità di artista: luci, ombre e colori vengono colti nella loro essenza, intuitivamente e simbolicamente.
Detroit, Detroit Institute of Arts
Johann Heinrich Füssli
L’INCUBO (1781)
Olio su tela, altezza mt. 1,01 – larghezza mt. 1,27
Se con Blake l’arte meta-empirica si muove nella dimensione dell’immaginazione simbolico-metafisica, con Füssli essa esplora il mondo del sogno e dell’inconscio, anticipando tematiche che saranno care al Surrealismo. In Blake, l’elemento costruttivo dell’immagine sublime si basa su un chiaroscuro concettuale e simbolico; in Füssli, invece, il chiaroscuro ha radici più empiriche, vicino alla tradizione seicentesca, caravaggesca. In entrambi i casi, però, l’arte è concepita come attività spirituale, in contrasto con il naturalismo di impostazione pittoresca. Johann Heinrich Füssli nacque a Zurigo nel 1741 e morì a Londra nel 1825 all’età di 84 anni. Fu un fervido ammiratore di Shakespeare di cui ne costituisce il massimo illustratore. La sua opera più celebre è L’Incubo, conservata al Detroit Institute of Arts. Questo dipinto non si ispira a una commedia specifica di Shakespeare, tuttavia riflette l’interesse dell’artista per il fantastico, l’orrore e le atmosfere oniriche che aveva osservato anche nelle opere shakespeariane. Nella tela, la vera protagonista è la luce: una luce drammatica, simile a quella di un riflettore teatrale che illumina improvvisamente il centro della scena. L’osservatore percepisce immediatamente un’atmosfera di inquietudine: sul letto, una donna giace addormentata, mentre creature mostruose — un incubus accovacciato sul suo ventre e un cavallo dagli occhi luminosi che emerge da dietro una tenda rossa — popolano il sogno. La luce proviene dalla destra e si riflette sul corpo della donna, disegnando con precisione le figure circostanti e accentuando la drammaticità della scena. Füssli non intendeva interpretare il sogno secondo criteri psicologici o psicanalitici. La sua attenzione di pittore era rivolta a ciò che sfugge alla comprensione razionale, dimostrando che l’arte si colloca là dove la scienza non arriva: in un mondo in cui realtà e immaginazione si fondono, nel regno delle immagini inconsce. Così come Blake anticipa alcune tematiche simboliste, Füssli può essere considerato un precursore concettuale del Surrealismo: entrambi guardano a ciò che non può essere spiegato razionalmente, esplorando l’invisibile e l’insondabile.